L’altro ieri al Monastero dei Benedettini c’è stata la presentazione del libro di Giuseppe Lazzaro Danzuso su qualcosa che al momento non c’è più ma che per tanti anni, quelli appena appena recenti, ha accompagnato le nostre vite. Parlo di Teletna, alla cui storia il volume è dedicato.
E grazie ad essa, per come la racconta Giuseppe, parliamo, o meglio leggiamo, di Catania. Quando sicuramente era meglio. O quanto meno era più innocente. E più viva. Ma poi arrivarono i morti. E perdemmo l’innocenza. Molto meglio di me lo racconta Giuseppe e invito a leggere il libro.
Mi farebbe molto piacere se questo blog servisse pure da biblioteca circolante, come quella che c’era alla palazzina cinese della Villa Bellini: chi ha voglia prende un libro, lo legge e lo propone, invitando i lettori del blog ad andare avanti nella lettura. Se ne può sempre parlare, se ne abbiamo voglia. Quale luogo fisico d’incontro metto a disposizione la piccola sala riunioni che c’è nella mia segreteria. Se la provocazione letteraria interessa, scrivetelo nel blog. Serve a questo.
Tornando al libro, io chiaramente non ero presente alla presentazione, come si può evincere dalla mia agenda. Per cui ho chiesto all’autore, che in questo è maestro, di “accompagnarci” nel suo libro.
Caro Giuseppe,
com’era la Catania di Teletna, vuoi sapere, chiedendomi di parlare della presentazione del mio libro. Era una città inconsapevole di quanto le stava accadendo – i primi otto anni, quelli pionieristici, vanno dal 1975 al 1983, al centro di un periodo che si apre con Pippo Calderone che “importa” Cosa nostra all’ombra dell’Etna e si chiude con Pippo Fava ammazzato dalla mafia – ma almeno entusiasta, viva e vivace. Grazie appunto alla “scoperta” della tv privata, “inventata” da quel geniaccio del cavalier Giuseppe Recca, industriale del caffè.
“Teletna – scrivo nel libro – fu come un grande, luccicante specchio in cui Catania s’imbatté all’improvviso. La città si comportò all’inizio come un fanciullo: sorpresa dalla novità si divertì soltanto a far boccacce. Poi si mutò in un’adolescente che prova trucchi e belletti, quindi in una giovane donna consapevole del proprio fascino. Più avanti, finse di non vedere il proprio aspetto malsano, ma alla fine fu costretta ad accettare il decadimento. E prendere coscienza di quella malattia che rischiava di condurla alla morte: la mafia”.
Ma Teletna fu anche una tv “domestica”, casereccia, che doveva fare i conti della serva (Recca tornava da Milano con valigioni di film di kung-fu comprati a due lire) e che nei giochi a premi metteva in palio formaggi e salumi. Una tv alla buona, in cui Carlotta Zermo – che rivendica di aver inventato lei e non Giancarlo Magalli quel gioco dei fagioli con cui esplose “Pronto Raffaella – faceva gli annunci con ai piedi le pantofole. E “spiegava” alle ragazze dell’Ambra Jovinelli come spogliarsi. Eppure, come ha spiegato nella presentazione dei Benedettini il sociologo Roberto Vignera, vi era nei confronti dei “divi nostrani” della tv locale, una venerazione che ricordava quella della religiosità popolare.
L’anima di quella Teletna senza mezzi ma “divina” è condensata in una frase del giornalista Luigi Ronsisvalle: “Non sapevamo come fare, lo facevamo e basta. Ed era meraviglioso, esaltante”. Lo stesso Ronsisvalle aggiunge, nel libro: “In un documentario televisivo dedicato a Mario Bava, maestro dei b-movies italiani, che riusciva a inventarsi soluzioni tecniche incredibili… mi colpì molto una frase pronunciata da un regista: ‘eravamo dei cialtroni, ma anche dei geni’.
Credo che la stessa cosa si potesse dire di coloro i quali si inventarono, a Catania, la televisione privata”.
Pippo Baudo, nel giorno della presentazione del libro, nell’auditorium della Facoltà di Lettere dell’Università, ha rincarato la dose.
Confermando come gli uomini di Teletna fossero “piccoli eroi dal grande cuore, che, indossando armature di latta, come quelle dei pupi siciliani, combattevano grandi battaglie. E qualche volta vincevano pure”. E aggiungendo che della tv di oggi, fatta di format importati dall’estero, si vergogna. Non le ha mandate a dire, Baudo, parlando di “medioevo televisivo”, di “Paese addormentato, anestetizzato” da impresentabili reality show. Sui quali ultimi, nel libro, io scrivo:
“Grazie ai reality show viene peraltro affermato, con meccanismi subliminali, un sistema che segna il definitivo declino della chimera dei diritti, uccisa da quel risplendente principio dell’elargizione del favore che sta facendo precipitare l’Italia in una mentalità da nuovo feudalesimo”.
Una diagnosi condivisa da molti: scivolando tra le “porte girevoli” di Edmondo Berselli sull’ ultimo “Espresso”, leggiamo: “Il Paese si è addormentato per una quantità di motivi, dalla perdita delle culture, dal degrado della vita civile, dal disastro dei processi di formazione, fino alla sostanziale abdicazione civile della sua classe dirigente e dei suoi clan, come anche per l’ipnosi profonda prodotta dalle reti televisive Mediaset e controllate e quindi l’atomizzazione in una individualità implosa”.
Non è solo Mediaset, però. Anche la Rai, come ha ammesso lo stesso Baudo…
Tutte considerazioni che mi hanno confermato come scrivere questo libro fosse importante: comunque la si guardi, quella di oggi è l’Italia delle tv. E la prima tv italiana a infrangere il muro dell’etere fu Teletna, grazie a una coraggiosissima sentenza del pretore Michele Papa, che sarebbe scomparso qualche anno più tardi in un incidente stradale.
Il fratello, Renato, procuratore aggiunto di Catania, durante la presentazione del libro ha ricordato come, nell’imminenza della sentenza, fosse tormentato. “Non era certo un problema da nulla quello che gli era stato sottoposto. Molti altri avrebbero rimandato la questione alla Consulta, ma lui non era tipo da lavarsene le mani, in questioni così importanti. Era pressato dall’Escopost, dall’Avvocatura di Stato, dalla Rai. Ma decise secondo coscienza”.
Papa, come Recca, faceva. E facevano anche tutti coloro i quali trovarono in Teletna una straordinaria palestra per esprimersi. Per rimanere solo nell’ambito giornalistico, vi si formarono tanti colleghi importanti. E alcuni si cimentarono anche in altri campi:
Salvo Fleres e Claudio Fava in politica, per esempio, o Massimo Polimeni, oggi manager Wind Jet.
Quella delle tv private catanesi fu un’autentica epopea. E penso che bisogni recuperare in qualche modo quella voglia di fare che
serpeggiava allora in una città che si riscopriva, con la televisione, “Milano del Sud”. Spero che questo libro possa contribuire. Intanto, il più bel complimento che ho incassato è stato dallo storico Tino Vittorio, che firma la prefazione al volume e che mi ha aiutato moltissimo con i suoi consigli: “Il libro ci fa comprendere le ragioni di quel disagio generazionale e antropologico che subivamo e che non capivamo”.
Giuseppe Lazzaro Danzuso
Peccato che il centrosinistra catanese non sia mai riuscito a raccogliere le forze per realizzare esperienze editoriali serie ed alternative a quelle oggi esistenti. Tutti i tentativi si sono rivelati un fallimento, grazie anche all’eccessiva frammentazione delle poche risorse disponibili. Ricordo, tra gli altri, il progetto di quotidiano de I Siciliani (mai nato), Casablanca (ormai concluso), L’Isola possibile (che ancora resiste ma con grandi difficoltà), e poche altre iniziative che, però, non hanno mai avuto la forza di decollare.
Cari amici, mi risulta che il giornale: “E-polis” è “controllato” da Dell’Utri.
Penso che sbarcherebbe a Catania un’altro giornale conservatore. Siamo sicuri che Ciancio non farà nulla per evitare lo scontro?
Comunque, quanto al discorso ormai strafatto del monopolio della “Sicilia” a Catania, credo che abbia le ore contante. Almeno i mesi. Dovrebbe arrivare E-Polis anche qui a breve. E l’esperienza di Firenze insegna che quando cede una diga “editoriale”, cede di schianto. “La Nazione” è stato l’unico giornale di Firenze per secoli. Poi, in un paio d’anni, ne sono nati 7-8.
Incredibile, il tipo che fondò Teletna a me non piaceva molto decenni fa. Ma oggi mi sembra un gigante della democrazia. Che tempi orribili quelli in cui viviamo.
Che nostalgia Teletna. E che rabbia per la sua chiusura … Ma possibile che a Catania tutto debba andare sempre così, secondo i voleri del signorotto di turno?