Cambiare per far crescere l’Italia

 Investire su formazione, ricerca e innovazione, liberarci dalla zavorra della corruzione e dell’evasione fiscale, tornare a considerare centrale la contrattazione collettiva ma includendo quelle lavoratrici e quei lavoratori che oggi ne sono totalmente esclusi, dare rappresentanza ai lavoratori, dipendenti e non, ad alta professionalità. Sono solo alcuni dei principali spunti del documento di Agenquadri, il sindacato che rappresenta le lavoratrici e i lavoratori quadri e le alte professionalità. Ne abbiamo discusso ieri, giovedì 18 ottobre, durante la prima conferenza programmatica dell’associazione alla quale ho avuto il piacere di partecipare assieme ad importanti esponenti sindacali (cito solo Susanna Camusso per brevità), docenti universitari ed esponenti di altri partiti. Il documento programmatico di Agenquadri, che potete visionare qui, offre un’analisi puntuale sulla crisi che ha caratterizzato il nostro paese e ci fornisce non pochi spunti di riflessione e proposte su come da questa crisi si possa uscire. Come ho avuto modo di dire, credo che vengano centrati alcuni dei nodi irrisolti del nostro sistema politico, economico ed istituzionale che in un momento di crisi profonda sono apparsi ancora di più degli ostacoli al pieno dispiegarsi delle grandi risorse di cui l’Italia dispone.

 La finanziarizzazione dell’economia non è che una delle prime cause della debolezza della politica e delle sue istituzioni. Il governo Berlusconi prima e, ancora di più, quello Monti dopo, seppur per motivi molto diversi, non avevano gli strumenti, la forza, per affrontare la bufera finanziaria in cui gli speculatori hanno spinto il nostro paese. Il centro-destra ha prima negato la crisi, poi ha intrapreso una politica di presunto rigore, senza tagliare gli sprechi e avviare processi virtuosi di controllo della spesa. Ha inaugurato la scellerata stagione dei tagli lineari che hanno paradossalmente premiato chi sprecava e chi utilizzava le risorse pubbliche per clientele. Il governo Monti ha fatto quello che ha potuto partendo dalla necessità, urgente e non rinviabile, di salvare il paese da un default che era ormai alle porte, che rischiava di portare l’Italia in serie B. Il Pd, mettendo in secondo piano i propri interessi particolari, ha scelto di appoggiare questa fase necessaria e dolorosa. Adesso è il tempo di un governo che abbia la forza, derivata da una legittimazione democratica, la capacità di cambiare, per portare il paese nel futuro. La riflessione sul ruolo del sindacato contenuta nel documento programmatico è molto interessante e individua una via d’uscita che si propone di entrare in sintonia con le forze migliori protagoniste dell’economia del nostro paese. I problemi principali del lavoro, del sistema pensionistico, del sistema politico ed istituzionale ruotano tutti attorno al problema della rappresentanza. E le recenti polemiche che in questo momento riguardano quello che purtroppo è necessario chiamare il teatrino della politica fra rottamatori e ceto politico, casta sono il sintomo di un problema di rappresentanza che in questo momento riguarda i partiti e il parlamento, ma che in tempi non lontani riguarderà il sindacato, il mondo del lavoro, il sistema previdenziale. Non bisogna nasconderci che i partiti, i sindacati, sono costruiti per rappresentare un individuo di riferimento che è maschio, lavoratore a tempo indeterminato, nato negli anni ’50 e ’60, ma è necessario domandarsi se questi lavoratori siano ancora la locomotiva del paese o se sia giunto il momento di rivedere questo sistema. Chi è posto al di fuori di questo schema, non si sente rappresentato e percepisce i diritti che vengono riconosciuti come un sistema costoso di tutele, che loro sono costretti a pagare. I partiti e il sindacato devono porsi il problema non solo di come dare rappresentanza a queste nuove energie, sempre più numerose, ma soprattutto di evitare che si giunga ad una riforma che corrisponda ad una deregulation selvaggia, ad uno smantellamento orizzontale di tutto questo sistema. Un nuovo welfare deve essere concepito innanzitutto come un welfare delle opportunità, un sistema in cui il proprio destino non debba essere segnato dalla nascita, in cui chi ha le capacità, a prescindere che sia nato al Nord o al Sud, in una famiglia ricca o povera sia messo nelle condizioni di raggiungere gli obiettivi professionali che è in grado di raggiungere. La bassa o assente mobilità sociale sono il vero ostacolo alla crescita dell’Italia. Il sindacato deve interrogarsi sui cambiamenti avvenuti nella nostra società, sui risultati della propria azione e sulle priorità che intende darsi per il prossimo periodo, deve essere avanguardia nell’affrontare il futuro. Essere capaci di rappresentare in maniera forte e unitaria le nuove ed alte professionalità è una sfida essenziale e strategica per tutto il sindacato. Sono convinto che in Italia ci sia bisogno di una grande forza collettiva come il sindacato: il suo ruolo non può essere messo in discussione ma dovrà sapersi innovare, cambiare, accettare il cambiamento.

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