Venerdì pomeriggio ho avuto il piacere di partecipare ad appuntamento organizzato dalla sezione Fidapa di Catania per discutere dei problemi attuali e delle prospettive future della detenzione in Italia.
Vedere tanta gente in sala ad ascoltare interessata e senza pregiudizi le parole dei relatori – insieme a me c’erano la presidente della sezione Fidapa di Catania Silvana Papa Bognanni e la direttrice del carcere minorile Bicocca Maria Randazzo, il professore Santo Ligresti l’avvocato Luca Mirone – su un tema che non è tra quelli che tradizionalmente acchiappano l’attenzione e che spesso non procurano facili applausi a chi lo tratta, mi è sembrato un buon segnale. Constatare che anche tra chi non è direttamente interessato ai problema carceri, al loro sovraffollamento e alle condizioni di vita dei detenuti, l’interesse è crescente significa che, specie negli ultimi mesi, il tema è finalmente uscito dal cono d’ombra che lo avvolgeva.
La vicenda della condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo al nostro Paese per via del sovraffollamento carcerario è nota e sicuramente ha contribuito a far crescere l’attenzione attorno al pianeta carceri. Ma chi, anche prima che arrivasse la sentenza della Cedu e recente e giusto monito del Presidente Napolitano, ha avuto modo di visitare un carcere italiano sa che il problema è prima di tutto di umanità. I nostri istituti di pena, non tutti fortunatamente, sono vecchi, sovraffollati non vi è purtroppo dubbio sul fatto che nelle attuali modalità, il carcere rappresenti una forma di isolamento, di sradicamento dalla società che non recupera i detenuti ma li predispone a nuovi comportamenti criminosi.
Per fortuna ci sono anche tante eccezioni alla regola, frutto dell’instancabile impegno di funzionari ed operatori che, in condizioni non sempre favorevoli, riescono a portare avanti un lavoro meritorio.
Eccezioni che confermano come il lavoro ed i progetti formativi rappresentino per i detenuti strumenti fondamentali perché possano riconsiderare la propria condotta di vita e per poter contare, una volta concluso il periodo di privazione della libertà, su un adeguato reinserimento sociale.
Partecipare all’incontro con gli amici della Fidapa mi ha anche dato la possibilità di illustrare le misure che il governo di cui faccio parte ha varato (qui trovate il dettaglio) per migliorare “le prospettive future” , ma direi anche presenti, della detenzione in Italia. Misure importanti che proprio in questi giorni sono all’esame del Parlamento e che come dimostrano i primi dati in possesso del Ministero della Giustizia stanno già dando i primi positivi risultati.
Durante il mio intervento non ho parlato di numeri, il nuovo decreto carceri è in vigore da meno di un mese e le cifre sebbene incoraggianti vanno confermate nel tempo, ma del cambio di prospettiva nel modo di affrontare il mondo del carcere ed i suoi problemi.
Riempire le carceri esistenti, costruirne di nuove paradossalmente rende meno sicura la società. Il Carcere non è più una punizione ma appare una vendetta. Il carcere non è più un castigo ma diventa un delitto.
Il luogo in cui può nascere e rafforzarsi l’idea di una società ingiusta, vendicativa. E’ statisticamente comprovato invece che gli strumenti alternativi alla detenzione, ovvero la partecipazione dei detenuti a progetti socialmente utili, riduce i casi di recidiva. E’ dimostrato quindi che investire sulla fiducia conviene di più che investire sulla minaccia, sulla vendetta: porta ad un risultato più umano per il condannato e migliore per la collettività.
Il Governo si è dato degli obiettivi ambiziosi per realizzare un moderno sistema di Giustizia. Per fare ciò occorre che si lavori molto anche sul piano culturale.
L’idea è di una giustizia condivisa come valore di una comunità che è in grado di riservare al sistema giudiziale solo quei conflitti non altrimenti risolubili.
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