Una piccola storia di soprusi sul lavoro raccontata a favore dei giudici e dei lavoratori
Ci sarà pure un giudice a Berlino, diceva il mugnaio di Potsdam che nella seconda metà del ‘700, opponendosi al sopruso di un nobile, si rivolgeva a tutte le corti di giustizia germaniche per avere “giustizia”, fino ad arrivare a Federico il Grande.
Il nostro piccolo caso invece – nemmeno tanto piccolo se solo si pensa ai principi e ai diritti fondamentali in gioco – ha inizio ai primi di maggio del 2005, pochi giorni prima delle elezioni amministrative, e lo conosco benissimo perché da allora ho curato la tutela legale dei lavoratori interessati: la gestione commissariale della Ferrovia Circumetnea dirama a tutti i dipendenti una comunicazione per informare che venerdì 13 maggio – solo un paio di giorni prima del voto – sarebbe stato firmato un protocollo d’intesa tra il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Rete Ferroviaria Italiana, un pezzo delle vecchie FS, e il Comune di Catania, nella persona di Umberto Scapagnini, sindaco uscente nonché candidato per il centrodestra.
La Circumetnea invita tutti i dipendenti liberi dal servizio a partecipare alla manifestazione. Pochi giorni prima era venuto addirittura Berlusconi a porre prime pietre, sempre per la Circumetnea, e i dipendenti, ovviamente, erano stati “invitati” a presenziare.
Si sa che Silvio ama le folle e visto quello che stava facendo per Catania, prima pietra del tratto di Nesima della Metropolitana compresa, era il minimo che il centrodestra locale potesse fargli trovare.
Tornando invece al protocollo d’intesa che è all’origine del nostro piccolo caso, risulta quasi inutile dire che era già stato firmato, formalmente, ben prima di quell’occasione che rischierebbe, così, di apparire quasi inventata.
I tre lavoratori scrissero una lettera di dissenso all’allora commissario Vecchio Domanti “rispetto ad una iniziativa – si legge – che ricadendo alla immediata vigilia di una consultazione elettorale per il rinnovo dell’Amministrazione comunale, assume ineluttabilmente un carattere meramente propagandistico ed elettoralistico a favore di una delle due parti politiche in competizione”.
Nella lettera, che non venne mai resa pubblica da parte dei dipendenti, i tre sottolineavano anche che quel protocollo era già stato sottoscritto in altre occasioni. Affermazioni e apprezzamenti irrispettosi, fu la contestazione dell’azienda che impose ai tre dipendenti una sanzione disciplinare, con sospensione dalla retribuzione e dal servizio.
Immediato il ricorso dei lavoratori, a cui la Sezione Lavoro del Tribunale di Catania adesso dà ragione: il 6 ottobre scorso, la Sezione lavoro ha dichiarato illegittimi gli atti della Ferrovia Circumetnea, che aveva pesantemente sanzionato i tre dipendenti, accusati di aver espresso un proprio parere.
Per il Tribunale etneo si è trattato infatti di “esercizio illegittimo del potere sanzionatorio”. Vengono riaffermati il diritto alla libera manifestazione del pensiero stabilito dall’articolo 21 della Costituzione (Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero) e il diritto di critica sancito dallo Statuto dei lavoratori, articolo 1 (I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge).
Scusatemi se è poco, visto che si partiva solo da alcuni dipendenti poco ossequiosi.
Mi pare legittimo chiedermi come può un’azienda, e un’azienda a gestione governativa per di più, dimenticare le leggi fondamentali del nostro ordinamento esercitando in maniera distorta il proprio potere sui dipendenti. Speriamo tutti che fatti del genere non si ripetano più, compreso il coinvolgimento diretto di un’azienda dello Stato nel fare campagna elettorale sottobanco a questo o quel politico. Ma, accanto alla speranza, mi pare sacrosanto aggiungere la doverosa attenzione su ciò che questa azienda pubblica compie.
Tutto ciò spetta alla politica di tutti i giorni in questa nostra città. Dipenderà da noi – e da chi vorrà camminare assieme a noi, dicendoci magari quando sbagliamo obiettivo o richiamandoci piuttosto ai problemi più sentiti – saper dimostrare di non saper dire solo “belle” parole ma di saper conquistare qualche fatto. Anche piccolo, ma che indichi la direzione nella quale vorremmo andare. Che è sempre quella ma continua a essere molto attuale: una città diversa, un Paese diverso.
Ero partito invece dal giudice a Berlino. Il racconto di Bertold Brecht ci dice che ai tempi di Federico II Re di Prussia la separazione dei poteri non era ancora un concetto consolidato per cui le vicende del nostro mugnaio, dei suoi giudici e del suo re sono abbastanza confuse. In troppe occasioni si è detto e scritto “ci sarà un giudice a Berlino” per cui, prendendo spunto dal caso che vi ho raccontato per esperienza molto diretta, sarà utile considerare tutte le parti del racconto di Brecht e, soprattutto, ogni parte del racconto dei nostri giorni.
Ma ci pensate se non ci fosse stato un giudice a Catania? Per un evidente e palese sopruso alcuni lavoratori avrebbero subito un danno e una vergognosa umiliazione.
Capite perché la presenza di un giudice – a Berlino sicuramente, ma ancor prima a Catania, a Roma e in ogni angolo d’Italia – mi sembra non tanto importante quanto decisiva.
Chi sarebbe intervenuto per dare risposte alla domanda di giustizia dei deboli? Anche se è capitato che proprio nelle aule di giustizia questa sia stata a volte negata?
Chi potrebbe intervenire nei confronti dei potenti – e dei poteri – se non un debole magistrato che ha alle sue spalle la forza della Legge? Anche se, ultimamente, la Legge fa ridere a scriverla con la maiuscola, ma non è colpa dei magistrati ma di chi le leggi le deve fare “per forza”?
Che altra tutela potremmo avere, comuni cittadini, se non nell’esistenza di un potere autonomo che esercita la giustizia, o meglio l’osservanza delle leggi? Anche se l’autonomia a volte può sembrare privilegio?
Potremmo continuare così a lungo e non andremmo da nessuna parte, a parte tirare fuori gli eroi. Ognuno dalla sua parte. I magistrati uccisi. I giusti condannati e, magari, morti ingiustamente. Falcone contro Tortora. Giustizia contro garanzie. Quando, per uno come me, viene naturale considerarli entrambi eroi. Considerare entrambi i concetti presupposti. Di uno Stato di diritto. Pienamente disegnato nella nostra carta costituzionale. Che proprio i giudici hanno contribuito negli anni passati a rendere più vera, perché attuata.
Un Paese di sana e robusta Costituzione come, fortunatamente, è il nostro, può rinunciare così, come se niente fosse, alla separazione dei poteri, concetto di quel vecchio comunista di Montesquie così inviso agli attuali “liberali” nostrani?
Penso solo che se non avessimo più un giudice a Berlino saremmo tutti meno liberi.
Insomma, proprio tutti, no. Ma tutti gli altri sì.