La lotta alla contraffazione passa anche da misure a sostegno del Made in Italy: a questo proposito il Governo nella legge di stabilità ha approvato l’abolizione della seconda rata Imu per i fabbricati rurali e per i terreni agricoli degli imprenditori agricoli professionali e ha dimezzato l’onere dell’Imu anche per i terreni agricoli posseduti da non agricoltori. L’ho voluto comunicare di persona ai tanti imprenditori che sono intervenuti a Catania a convegno “Il contrasto alla contraffazione e le proposte del territorio”, organizzato dall’Anci e coordinato dal responsabile dell’area Sicurezza dell’Anci Antonio Ragonesi.
L’abolizione dell’Imu per i fabbricati rurali l’avevamo promessa e abbiamo mantenuto la parola data. Lo dovevamo a tutti gli agricoltori italiani, che lo scorso anno avevano subito questa tassa, ingiusta due volte, perché colpisce un bene produttivo come la terra. Le abrogazioni e le riduzioni ottenute per il 2013 hanno consentito di non far pagare al settore 64 milioni sui fabbricati rurali, 315 milioni sui terreni di proprietà degli imprenditori agricoli professionali e 158 milioni sui terreni di proprietà dei non agricoltori, per un risparmio fiscale complessivo per il settore pari a 537 milioni. Gli effetti negativi del fenomeno della contraffazione sono particolarmente preoccupanti per i settori produttivi del Made in Italy e per i distretti produttivi locali che, come l’agricoltura di qualità, ne costituiscono l’ossatura portante. Gli effetti negativi di questo fenomeno sono particolarmente preoccupanti per i settori produttivi del cosiddetto “made in Italy” e per i distretti produttivi locali che ne costituiscono l’ossatura portante.
Non meno gravi sono le ricadute sul settore agroalimentare. In questo quadro l’agroalimentare è un esempio di qualità ed eccellenza, ma anche dei limiti strutturali che abbiamo nel valorizzare questi fattori. Negli ultimi dieci anni il mercato agroalimentare mondiale è più che raddoppiato. Nel 2012 l’agroalimentare rappresenta la prima voce dell’export italiano, con un fatturato record di 31 miliardi di euro. L’agricoltura è oggi uno dei pochi settori in grado di generare lavoro (tra i 150.000 e i 200.000 posti secondo le stime di CIA e Coldiretti). Non potendo competere sul campo delle materie prime agricole (come mais, grano, soia ecc.), i prodotti italiani che vincono nel mondo sono quelli ad alta specializzazione. Non possiamo, infatti, competere sulle produzioni di fascia medio-bassa, ma restiamo vincenti sulla fascia alta, che non significa lusso ma grande qualità. Il prodotto più esportato è il vino che finora nel 2013 ha fatto segnare il record storico, con un aumento del 9% delle vendite all’estero. Ma sono fortemente competitivi anche l’ortofrutta fresca (+10%), la pasta (+4%), l’olio d’oliva (+10%), i salumi (+6%) e i formaggi (+1%). Le esportazioni del made in Italy alimentare sono cresciute soprattutto in Russia (+10,1%), Canada e Giappone (+8,6%) e Stati Uniti (+8,3%). C’è ancora molto margine di crescita.
Se sapremo fare i giusti investimenti – nei diversi settori e come sistema paese – per trasformare in quote di mercato l’immagine di cui il made in Italy gode anche nei mercati in espansione. Qualcosa si comincia a muovere in Cina, con un aumento, nel 2012, dell’84% delle vendite di pasta, del 28% dell’olio e del 21% del vino. Il cibo, inoltre, è il settore dove è maggiore la spesa dei turisti, con 24 miliardi di euro spesi per gustare una delle 4.698 specialità alimentari presenti in tutta Italia. Insomma, chi ha scelto di investire sulla qualità ottiene risultati positivi. Anche per questo va sostenuto ed incentivato.
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