su Repubblica.it un’analisi di ALBERTO BISIN
19 maggio 2012
SI PARLA ormai con sempre maggiore insistenza della possibilità che la Grecia esca dall’Euro. Al momento siamo ad una impasse da manuale di strategia politica: la Grecia scommette che l’Europa non avrà la forza di lasciare andare il paese e l’Europa fa la voce grossa in risposta. L’impasse non potrà durare a lungo. Igiochi dietro le quinte degli incontri internazionali rischiano di essere resi inutili dalla corsa dei greci alle banchea ritirarei depositi in Euro, che renderebbe un ritorno alla Dracma essenzialmente inevitabile. In pochi giorni, mentre scemavano le speranze che un governo di coalizione potesse essere costituito, 2 miliardi di Euro di depositi (il 2% del totale) sono stati ritirati dalle banche e si trovano oggi probabilmente sotto i materassi.
La prima conseguenza di una uscita della Grecia dall’Euro e di un ritorno alla Dracma sarebbe una sostanziale svalutazione. La svalutazione avvantaggerebbe le esportazioni, il turismo, e quindi la bilancia commerciale, dando un po’ di respiro all’economia greca nel breve periodo. A differenza di quanto troppi commentatori continuano a ripetere, una svalutazione non è però una panacea. Anzi. Innanzitutto, una svalutazione è una diretta redistribuzione di risorse dai consumatori del paese alle imprese che esportano e ai consumatori stranieri. Questo perché una svalutazione comporta l’aumento del prezzo delle importazioni (e anche i beni prodotti all’interno utilizzano in larga parte materie prime e componenti importati).
Inoltre, la svalutazione porta tipicamente a una spirale inflazionistica e a successive svalutazioni.
Se la svalutazione rendesse i paesi competitivi, lo Zimbabwe sarebbe il paese più ricco sulla Terra (John Cochrane). E anche l’Italia pre-unione monetaria. Non è così perché, favorendo le esportazioni nel breve periodo, la svalutazione aiuta invece il paesea ritardare le riforme strutturali necessarie ad aumentare la produttività delle imprese, addossando i costi ai consumatori.
La seconda conseguenza per la Grecia di una sua uscita dall’Euro sarebbe un ulteriore default seguito da un’ immediata cacciata della Grecia dai mercati finanziari internazionali. Questa cacciata dai mercati finanziari non riguarderebbe solo la Grecia come paese ma in parte anche le sue imprese private. Un ulteriore default darebbe quindi un po’ di respiro al paese, ma lo condannerebbe all’autarchia finanziaria nel breve periodo. Non solo, ma il sistema finanziario greco ha passività in Euro: una svalutazione renderebbe quindi le banche difficilmente solvibili e l’autarchia finanziaria renderebbe essenzialmente impossibile ricapitalizzarle. Tutto sommato credo che uscire dall’Euro peggiorerà l’austerità cui il paese dovrà sottoporsi almeno nel breve periodo.
Per meglio comprendere i costi di questa strategia, è utile guardare al caso dell’Argentina, che ha fatto default e svalutato il Peso nel dicembre 2001. Alcuni commentatori, hanno utilizzato il caso dell’Argentina come un esempio delle doti taumaturgiche di un default associato ad una svalutazione. Le cose non stanno affatto così. La recessione in Argentina è iniziata nel 1998. Il Pil pro-capite sceso del 7-8% fino al default ed è poi crollato fino ad assestarsi al 20% in meno del 1998, prima di ricominciare a crescere nel 2003. I costi per i cittadini di questa “deviazione” dell’economia argentina sono stati enormi. Le banche sono rimaste chiuse per un intero trimestre, i depositi bloccati (una esperienza drammatica nella memoria storica del paese questa, chiamata il corralito ). I cittadini hanno preso a scendere in piazza, in manifestazioni prima pacifiche ma che in breve tempo si sono trasformate in continui gravi disordini di ordine pubblico nelle maggiori città. Il credito al settore privato è crollato del 50% per vari anni, con costi enormi sul sistema produttivo argentino.
È vero che, trainata dalle esportazioni (e da una dinamica dei prezzi relativi internazionali ad essa favorevole) l’Argentina è tornata a crescere dopo circa un solo anno dal default. Secondo i dati ufficiali l’Argentina è tornata al livello di trend di Pil pro-capite comunque solo nel 2008. Maè un segreto di Pulcinella che i dati ufficiali non sono attendibili (e non per caso): secondo le stime più accurate, accettate da economisti indipendenti (ad esempio quelli che animano il blog Foco Economico), il Pil argentino sarebbe oggi sovrastimato di circa il 10%. Allo stesso modo il governo controlla e “massaggia”, attraverso la banca centrale, le stime dell’inflazione. Sea ciò si aggiungono le nazionalizzazioni e il tentativo di distogliere l’opinione pubblica rianimando la questione Falkland, si nota una certa disperazione che non fa presagire nulla di buono per l’economia argentina (abbiamo visto dove il libero uso delle statistiche economiche ha portato la stessa Grecia).
In conclusione, la Grecia ha poco da guadagnare ad uscire dall’Euro, a meno di essere in grado di utilizzare il vantaggi di breve termine che una svalutazione ed un ulteriore default le garantirebbero per buttarsi sulle riforme.
Purtroppo, se la storia ci insegna qualcosa, questi vantaggi di breve termine sarebbero invece utilizzati per procrastinare le riforme, fino alla prossima crisi e alla prossima svalutazione. Non ci sono scorciatoie.
– ALBERTO BISIN
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