Una giornata di studi dedicata ai nuovi scenari del governo locale. Abbiamo affrontato un tema certamente non lieve, ma che ci riguarda tutti. Perché tutti viviamo in un Comune, ed è dagli strumenti che forniamo al Comune, alla Provincia e alla Regione, e da come questi strumenti vengono utilizzati, che dipende la qualità della vita. Di tutti.
La giornata, organizzata dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Catania, si è tenuta nell’ambito di “Nuove forme di governance locale come strumento di sviluppo strategico territoriale – Una ricerca comparata in sei Regioni europee: Andalusia, Brandeburgo, Puglia, Sicilia, Toscana, Veneto” presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali – Università degli Studi di Catania.
Ecco il testo del mio intervento di oggi.
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“Nuove forme di governance locale come strumento di sviluppo strategico territoriale”
La prossima Legislatura dovrà affrontare una autentica e coraggiosa riforma dell’ordinamento istituzionale, che modernizzi il sistema dei poteri nazionali, regionali e locali e produca una nuova governance trasparente, coerente ed efficace.
Accanto a ciò deve procedere all’avvio di un vero federalismo fiscale, sostenibile e solidale.
Il Governo Berlusconi ha scaricato sugli enti locali il peso dei tagli, costringendo ad una contrazione dei servizi e del ruolo delle autonomie, sclerotizzato la spesa con il patto di stabilità che ha bloccato investimenti che oggi sarebbero ossigeno prezioso.
Il peccato originale sta nell’aver voluto separare – concettualmente e di fatto – la partita del federalismo fiscale da quella della riforma delle competenze. La Destra e la Lega hanno la responsabilità di aver lasciato indietro le proposte di riordino e di semplificazione dei poteri decentrati, mortificando una volta di più i valori dell’autonomia e della sussidiarietà; di aver svuotato e tradito la prospettiva di un avvio reale del federalismo.
Il federalismo ha rappresentato solo uno slogan, questa scelta di annunci fantasmagorici ha bloccato e impantanato una seria riforma
E il danno per il Paese è serio. Si è bloccato il federalismo, sostituito dalle vuote chiacchiere sulla devolution e nella prassi si è affermato un nuovo centralismo finanziario, che ha penalizzato fortemente gli enti locali. Ciò ha prodotto un ulteriore allontanamento della politica dai cittadini. ha rischiato di minare la credibilità di un obiettivo, il federalismo, sul quale si è, nonostante tutto, registrata una convergenza di intenzioni proveniente da molti settori.
Questo è il quadro che dovremo affrontare. Il PD si batterà con forza e spirito innovatore, avanzando al tempo stesso le proposte necessarie a superare lo stallo e a far ripartire nel Parlamento e nel Paese un autentico processo riformatore. La prima cosa da fare è rimettere sui giusti binari la riforma autonomistica, guardando ad essa non solo come un passaggio ineludibile sul cammino del riassetto politico-istituzionale e del risanamento della finanza pubblica. Essa è anche uno strumento essenziale per la ripresa economica, per una più forte competitività del sistema Italia, per assicurare la coesione sociale, per riavvicinare il Paese reale alla politica.
Il punto politico fondamentale è innanzitutto affermare l’idea di una riforma che non sia mera redistribuzione di ruoli e competenze tra i diversi livelli di governo, né un’operazione di semplice maquillage organizzativo. La politica si trova ad una svolta epocale, alla necessità di riformare e riformarsi, che non si risolverà con un po’ di belletto. Da qui passa il rilancio economico, l’ammodernamento dell’Italia, il rafforzamento di un forte spirito civico. Serve un disegno organico e coerente, che veda insieme Riforma dello Stato (nei suoi rami alti) e riordino dei poteri regionali e locali; federalismo fiscale e Codice delle Autonomie; rivisitazione delle competenze e certezza delle risorse.
Poi si potrà anche procedere per gradi e per passaggi successivi. Ma è necessaria una visione di insieme. Non si può procedere alla cieca o sotto l’impulso di spinte ideologiche o propagandistiche. In Parlamento abbiamo mantenuto un atteggiamento politico coerente e rigoroso, da qui ripartiremo. Noi siamo i veri autonomisti, perché preoccupati del funzionamento e dell’unità di tutto il Paese, della sua qualità democratica, dell’efficenza del sistema istituzionale dalla cui riforma può partire la ripresa economica.
La recessione ha fatto emergere palesemente come l’inefficienza della PA può pesare sull’economia. Dobbiamo guardare alle esigenze di un Nord competitivo con le aree più forti d’Europa, ma siamo consapevoli che il paese può uscire dalla crisi solo se forte e coeso e solo il Mezzogiorno ha le potenzialità per fare ripartire l’economia del paese.
I Comuni sono in primissima linea per garantire, in condizioni talvolta drammatiche, il rapporto di fiducia tra cittadini e Istituzioni. Uno Stato più efficiente e moderno deve rispondere alle esigenze di tutela della legalità e di contrasto alla criminalità organizzata. Dobbiamo pensare a rafforzare l’azione degli Enti Locali nelle zone più difficili del paese con meccanismi di sostegno (diffusione delle migliori pratiche tra Comuni, fra Provincie) e di affiancamenti propriamente federali (non solo poteri sostitutivi ma strumenti di governance condivisi) anche con periodi di formazione fra i diversi livelli di governo.
Il governo di centrodestra ci lascia una pesante eredità. Gli obiettivi più volte sbandierati, riordino delle competenze, semplificazione dei livelli amministrativi, risparmio virtuoso della spesa aggregata, sono stati tutti disattesi. La vicenda della annunciata soppressione delle Province si è limitata a mirabolanti annunci seguiti da proposte timidissime, peraltro abbandonate subito per le resistenze degli eletti locali della destra. Lega in primis. Così può dirsi per altri aspetti qualificanti, quali ad esempio il varo delle Comunità metropolitane, fermo al palo, nonostante per questa via si possano superare 9 Province ed il mancato sostegno alle Unioni di Comuni ed alle diverse esperienze di gestioni associate. Le poche cose positive raggiunte nel percorso del Federalismo si debbono all’impegno fattivo e coerente dei parlamentari del PD presenti nella Bicamerale e nelle Commissioni di merito.
A pagare il prezzo più alto sono i cittadini. I servizi falcidiati dai tagli hanno avuto conseguenze pesanti sulla qualità della vita e sul reddito delle famiglie. Vedremo presto il prezzo alto che il paese paga a questa linea recessiva.
E’ un disastro istituzionale, reso più grave dal continuo annunciare riforme che poi non si avviano mai. E’ indispensabile ripartire col piede giusto e rimettere, in modo credibile e senza ambiguità, questo tema in cima all’agenda delle riforme.
La riorganizzazione dei poteri non è solo finalizzata ad un nuovo equilibrio interno ai poteri della Repubblica ma ad offrire a cittadini, comunità ed imprese, servizi e prodotti migliori, di maggiore qualità e dal prezzo equo. Dobbiamo offrire un interlocutore istituzionale che sappia tradurre in risposte concrete i loro bisogni. Bisogna mettere al centro della riforma il cittadino, il suo bisogno di sostegno, di semplicità, di partecipazione.
E’ l’occasione per migliorare le istituzioni e, al tempo stesso, per coinvolgere i più ampi strati della cittadinanza, ed in particolare i giovani, le donne, il volontariato. Ciò significa cambiare l’ottica della riforma, mettere da parte le esigenze degli amministratori – visti ormai come casta, a tutti i livelli. La priorità è la qualità dei risultati, delle prestazioni, la soddisfazione degli utenti.
Il nostro assetto istituzionale è arcaico, non è capace di rispondere alle esigenze di un quadro globale fortemente mutato. Oggi le Istituzioni sono chiamate a fronteggiare la globalizzazione, la crisi economica mondiale, le nuove questioni di fondo del pianeta (clima, migrazioni, cibo, rivoluzione informatica). Bisogna avere il coraggio di innovare, pena una crisi di autorevolezza della democrazia.
Bisogna definire con chiarezza “chi fa cosa”, cancellando le sovrapposizioni, le posizioni di rendita, i poteri di interdizione.
Non inseguiamo l’ideale astratto e non praticabile di liste rigide di competenze separate tra i diversi livelli istituzionali. I poteri concorrenti non sono una maledizione se ben congegnati e gestiti nell’ottica della leale cooperazione interistituzionale.
Anche se una maggiore chiarezza è oggi indispensabile. Anche per ridurre il vasto conflitto interistituzionale che negli anni si è moltiplicato, il che spesso è diventato alibi per non risolvere il tema dell’assunzione di responsabilità verso il cittadino. Vogliamo favorire davvero e non a parole la scelta delle Unioni di Comuni, delle gestioni associate di servizi. Proponiamo che si lavori ad una chiara distinzione tra le funzioni legislative, di alta programmazione e di controllo, che spettano alla Regione; e quelle amministrative, di gestione diretta dei servizi, che appartengono all’Ente locale. La Regione, anello sempre più strategico di un sistema collocato nella dimensione europea, deve specializzarsi e rapidamente concentrarsi nel fare leggi, piani e programmi, controlli sui risultati e sulla coerenza delle scelte locali.
Va quindi chiusa l’esperienza della Regione che gestisce i servizi, fatta eccezione per le materie o le situazioni in cui risulti evidente, anche nel confronto con gli Enti locali, che la funzione collocata altrove perderebbe efficacia.
Vanno valorizzate l’autonomia e la pratica della sussidiarietà; e va stimolato il dinamismo degli amministratori che cercano, nel concreto, soluzioni innovative alle questioni spesso inedite che cambiano l’agenda del governare. Va introdotta una forte semplificazione dei vari livelli e strumenti di governo delle politiche locali: società, consorzi, ambiti territoriali ottimali, ecc…
Forte è l’aspettativa dei cittadini per un’effettiva riforma dei servizi locali perchè siano più efficienti e più economici. In Sicilia andranno introdotte novità che nel resto del paese hanno fatto la differenza: distinzione tra controllore e controllato, flessibilità e velocità d’intervento nell’organizzazione del servizio, possibilità di sperimentare forme virtuose ed innovative di relazione tra pubblico e privato.
La dimensione dei servizi e della loro gestione deve essere quella ottimale dal punto di vista della qualità del risultato per i cittadini per compiere economie di scala. Ciò significa, in generale, la necessità di andare oltre la scala municipale o locale, promuovendo livelli di programmazione e quindi di gestione più ampi e razionali. In particolare per i servizi più importanti per i cittadini (acqua, assistenza sociale, trasporti, rifiuti) è logico considerare che il livello dell’area vasta o quello provinciale siano quelli più congrui.
Questo approdo è necessario anche per prepararsi in modo intelligente alla fase assai prossima, quella delle gare internazionali per l’aggiudicazione dei servizi, nelle quali i nostri territori non possono essere visti solo come territori di caccia per società europee e mondiali più forti e patrimonializzate.
Il sistema delle Autonomie che risulterà da questa riforma dovrà essere meno costoso di quello che si è consolidato fino ad oggi, senza far mancare le risorse per i servizi essenziali.
Bisogna dare valore e dignità delle Istituzioni, degli amministratori e dei lavoratori pubblici, della rappresentanza politica democratica contro ogni campagna populistica e strumentale.
C’è urgente la necessita di riportare sobrietà e rigore nell’uso delle risorse , e con essa l’urgenza di individuare soglie oggettive di riferimento (nazionali ed internazionali) cui agganciare i limiti massimi di spesa per il governo locale, per la rappresentanza, per l’amministrazione attiva.
In conclusione c’è molto da fare, un Paese da rifondare su istituzioni moderne ed efficienti, e questa esigenza non è più in alcun modo rinviabile.
Giuseppe Berretta
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