Il Partito Democratico è la più grande intuizione degli ultimi venti anni. Noi crediamo nel progetto cresciuto sulle radici dell’Ulivo. Desideriamo alimentarlo con le passioni e le intelligenze di donne e uomini pronti a rinnovare la politica italiana.
Ciò che abbiamo realizzato nei primi venti mesi è al di sotto del progetto che intendevamo perseguire.
Ciò che il Pd aveva di meglio da dire agli italiani non lo ha ancora detto.
Il non ancora del Pd indica ciò che possiamo diventare: il grande partito riformista che milioni di italiani non hanno avuto, la forza capace di unire Sud e Nord e di portare l’Italia nel XXI secolo, l’energia civile per arricchire la nostra democrazia, il fermento di una nuova cittadinanza italiana ed europea. Davanti a noi sono anche stringenti compiti politici: il Pd è nato per rendere possibile il cambiamento nell’Italia di oggi, per rendere convincente la proposta di governo.
Vogliamo rivolgerci ai nostri aderenti e agli elettori, a coloro che abbiamo smarrito per strada e a coloro che sono impegnati ad attuare il progetto. Vogliamo che il PD sappia convincere e vincere.
Tutto ciò è nelle nostre possibilità, è a carico della nostra responsabilità ed è l’obiettivo di questa mozione.
Come realizzarlo è sintetizzato nelle seguenti proposte politiche, culturali e organizzative che chiediamo a tutti gli iscritti di sostenere e di proporre agli elettori.
Siamo tutti fondatori. Nessuno può dire io sono il Pd e gli altri non ne sono parte. Ecco l’essenza del Pd: amalgamare e unire persone diverse, incrociare percorsi che vengono da lontano con la freschezza di chi si è appena messo in cammino, intendersi parlando anche lingue differenti.
E per prima cosa dobbiamo porci una domanda: perché il Pd ha deluso le aspettative che aveva suscitato, perdendo voti, invece di allargare i consensi in tutte le direzioni?
E’ successo perché la vocazione maggioritaria si è ridotta alla scorciatoia del nuovismo politico, mentre avrebbe richiesto un paziente lavoro di radicamento rivolgendosi con concretezza ai ceti popolari, alle categorie produttive e ai veri innovatori.
E’ successo perché invece di fondare un partito mai visto nella storia italiana, si è preferita spesso la suggestione mediatica alla definizione di una riconoscibile identità politica.
E’ successo soprattutto perché, dopo aver invocato la partecipazione popolare alle Primarie ed aver ottenuto la risposta formidabile di quasi quattro milioni di cittadini, non si è riusciti a costruire una organizzazione plurale e aperta in grado di coinvolgerli .
Non si dica che i nostri problemi sono venuti dal presunto tradimento di un’ispirazione originaria. Sono venuti dal non aver collocato il progetto su basi solide. Questo è il nodo che il Congresso deve sciogliere. Un Congresso, quindi, fondativo del nostro partito.
Il nuovo mondo
Si chiude un ciclo della storia mondiale. Le ideologie, le relazioni internazionali, i poteri reali e gli stili di vita che hanno dominato l’ultimo trentennio sono in affanno. Il vecchio mondo non c’è più e il nuovo non ha ancora un volto.
Chi avrebbe mai potuto immaginare soltanto qualche anno fa che un presidente degli Stati Uniti di origini africane avrebbe richiamato i doveri dell’Occidente e delle responsabilità dell’Africa proprio nel luogo da cui partivano le navi cariche di schiavi?
Nessuno ragionevolmente pensa più che si possa dislocare un esercito in ogni parte del mondo, che la grande finanza possa decidere la ricchezza delle nazioni, che la Terra possa sopportare un modello di sviluppo fondato sulla distruzione delle risorse. Il senso del limite sta diventando senso comune. Un atteggiamento più riflessivo verso i grandi squilibri del mondo va diffondendosi in aree culturali diverse, in soggetti politici e nelle chiese, come dimostra anche l’ultima enciclica papale. E’ il momento di rimettere mano ad accordi globali sulla regolazione della finanza chiamando al tavolo i paesi emergenti, di porre sotto controllo la speculazione sulle materie prime, in particolare quelle alimentari, di tendere una mano alle nazioni più povere. Quanta diseguaglianza può reggere la società? Fino a quando le oligarchie economiche potranno tenere in scacco le istituzioni della democrazia? Come si può dare vita ad un modello di sviluppo che rispetti l’ambiente e non distrugga il pianeta? Sono interrogativi che chiamano in campo la grande politica: la politica che sa indicare un orizzonte, che riorganizza le forze, che muove interessi e gruppi sociali, che induce un nuovo modo di pensare. Solo su questo si può fondare un nuovo partito, sulla ricerca di una base comune per condividere i pensieri e le azioni con i quali vivere il mondo nuovo, altrimenti si scivola nelle dispute della gestione dell’esistente.
Democratici del XXI secolo
L’impeto della trasformazione ha sopravanzato il potere di regolazione e di controllo; la crisi tuttavia dimostra che senza regole né controlli non esiste vero sviluppo. Si è dimostrata impraticabile la via di una crescita economica che non tenga conto dei limiti dell’ecosistema, costringendoci ora ad una impegnativa corsa alla riduzione delle emissioni per affrontare la crisi climatica.
La causa fondamentale della crisi viene da lontano: da oltre un quarto di secolo, infatti, i redditi da lavoro perdono potere d’acquisto ed esplodono le disuguaglianze. Col prevalere di una finanza sempre più spregiudicata, la ricerca del profitto si è separata dalla creazione di valore economico e sociale. La speculazione ha vinto sulla produzione e l’appropriazione sregolata in economia è divenuta oligarchia in politica, spesso in versione tecnocratica. Si è incrinato il grande patto nazionale tra capitalismo e democrazia che aveva segnato il Novecento e si è imposto quel “pensiero unico” neoliberista che ha influenzato anche tanti riformisti. La globalizzazione ha inciso sulla vita di ciascuno di noi, offrendo straordinarie opportunità e aprendo nuovi orizzonti alla conoscenza. Il ruolo della donna nella società misura ormai il livello della democrazia in tante parti del mondo, come si è visto anche nella recente rivolta democratica in Iran. Ma la globalizzazione ci ha portato anche le paure sotto casa e ci ha spinto ad una competizione senza limiti e a volte senza diritti. In ogni campo, ci mette di fronte a nuove impegnative questioni che impongono un ritorno alle radici dell’umanesimo. Perché dunque abbiamo chiamato “democratico” il nostro partito? Solo per evitare di pronunciare parole più impegnative o per segnare il campo post-ideologico? No, il partito si chiama “democratico” perché si misura con i problemi fondamentali della democrazia del nostro tempo.
L’Europa e i riformisti
La crisi restituisce attualità alle idee di fondo del riformismo: non c’è crescita senza qualità sociale e giusta redistribuzione delle risorse; ci vuole cura dei beni collettivi e dell’ambiente; le politiche pubbliche devono regolare lo sviluppo e assicurarne la sostenibilità; la cooperazione internazionale è la via maestra per promuovere la pace. Nessun cittadino, nessun ceto sociale, nessun Paese può progredire davvero bene se anche gli altri non trovano la strada per stare un po’ meglio. Tutto ciò fa appello ai riformisti, ma, al contempo, rivela l’esaurimento delle risposte che essi hanno dato nel corso del Novecento. Ritrovare l’orgoglio della tradizione e affrontare con coraggio la strada dell’innovazione è il doppio imperativo che ci sta di fronte. Non aver perseguito né l’uno né l’altro ha lasciato campo libero alle destre in Europa.
Gli Stati Uniti hanno saputo reagire al pericolo di una crisi di egemonia dando vita ad una leadership democratica capace di imprimere un nuovo senso alle relazioni internazionali. Lo stesso avviene in tanti altri paesi, dal Brasile all’India. Perché l’Europa va in senso contrario? C’è una causa materiale, perché il grande compromesso sociale realizzato dal riformismo europeo è stato scosso dalla competizione globale che ha aggredito i diritti del lavoro. Ma c’è anche una responsabilità delle forze progressiste che hanno governato quasi tutti i paesi europei negli anni Novanta. Anziché procedere con un balzo in avanti dalla moneta unica all’unità politica dell’Europa, quasi tutte le sinistre, anche le più coraggiose nella revisione ideologica, sono rimaste prigioniere del limite più grave dell’esperienza socialdemocratica: la dimensione nazionale. Le forze progressiste del continente devono compiere oggi il passo che mancò allora: iscrivere all’ordine del giorno il rilancio dell’unità politica europea e il rafforzamento della sua legittimità democratica e istituzionale
L’Alleanza dei democratici e dei socialisti nel Parlamento europeo non è solo un felice approdo, ma un punto di partenza e un orizzonte per una ricerca comune, oltre i confini delle culture politiche del Novecento. I progressisti in Europa hanno bisogno di innovazione. Noi, il Pd, siamo nati da una grande innovazione politica e possiamo quindi dare un contributo originale. Qui abbiamo un merito e una responsabilità.
In Europa per l’Italia
L’orizzonte europeo è la certezza dei riformisti italiani. Il nostro europeismo nasce dalla necessità di contribuire al governo democratico mondiale e, insieme, di promuovere la modernizzazione dell’Italia. Non aver dato attuazione al piano Delors e al trattato di Lisbona rischia di causare una disaffezione e un ripiegamento del progetto europeo, che mantiene invece intatte le sue potenzialità. L’Unione Europea è la forma più avanzata di governo multilaterale e democratico della globalizzazione; il suo modello sociale è visto in tante parti del mondo come la migliore risposta alla crisi. Per non smarrire le opportunità serve una ripresa coraggiosa della politica comune: una cooperazione per il governo dei flussi immigratori, specie nel Mediterraneo; un’azione diplomatica congiunta, innanzitutto per la soluzione dei conflitti mediorientali; una rigorosa applicazione degli obiettivi di riduzione dell’inquinamento; il finanziamento di progetti europei per la ricerca e le tecnologie.
Ma la vera novità deve essere un Piano Europeo per il lavoro, per rilanciare la crescita economica e lo sviluppo sostenibile, cioè un patto politico tra governi, forze sindacali e produttive per finanziare ristrutturazioni nel settore bancario e manifatturiero; promuovere una politica industriale condivisa;
realizzare infrastrutture europee; sostenere la nuova occupazione e le piccole e medie imprese; attuare un programma di sostegno al reddito e di formazione per i lavoratori coinvolti nei processi di ristrutturazione industriale.
L’Italia a sua volta ha bisogno dell’Europa, perché in questa dimensione le sue virtù vengono esaltate e i difetti avviati a soluzione. Non a caso l’adesione all’Euro, voluta da Prodi e Ciampi, è stata la più grande riforma italiana dell’ultimo quindicennio. L’Europa può oggi aiutarci a valorizzare merito e responsabilità, accelerare il ricambio generazionale, modernizzare le reti tecnologiche, promuovere la parità fra i sessi, migliorare le politiche ambientali e ampliare la sfera dei diritti.
Un Paese che merita di più
I tessuti connettivi del Paese sono sempre stati deboli. In assenza di profonde riforme rischiano ora di sfilacciarsi sotto la pressione della globalizzazione. E’ a rischio la coesione del Paese, non solo nell’antico squilibrio tra Sud e Nord, ma nell’intera organizzazione sociale: tra un’aristocrazia economica da una parte e classi medie impaurite dall’altra, tra chi si arricchisce con le rendite e chi si impoverisce lavorando, tra chi sa e chi non saprà mai, tra chi scommette sul futuro e chi recinta l’esistente.
Lavoro e cittadinanza
La prima, fondamentale frattura nasce dall’indebolimento del lavoro, in netto contrasto con la sua rilevanza nell’economia della conoscenza. Le conseguenze si sono sentite sui redditi dei lavoratori dipendenti, rimasti bloccati in termini reali, sulle donne trattate spesso come anello debole, e sui giovani che hanno subito una precarizzazione senza diritti. Troppe volte, in primis con le inaccettabili morti bianche, è venuta meno quella dignità del lavoro che la Costituzione pone a fondamento della cittadinanza. Se il lavoro perde dignità, anche la democrazia si indebolisce. E per dare forza al lavoro è decisivo il rinnovamento delle forze sindacali, insostituibili fattori di arricchimento della democrazia. Nella cittadinanza il lavoro si esprime come attività umana che contribuisce a regolare le relazioni sociali, oltre la contrapposizione tra lavoratore e impresa. Noi italiani conosciamo meglio di altri il nesso profondo fra lavoro e cittadinanza, perché è alla base di quelle strutture economiche che il mondo ci invidia, i distretti e le filiere produttive dove la cultura del lavoro è radicata nelle reti sociali, nei rapporti tra imprenditori e dipendenti, nelle identità del territorio e nella cooperazione dei saperi.
Ci sono natura, storia e conoscenza nella crescita italiana.
Curare l’ambiente in cui viviamo richiede un cambiamento di comportamenti, di priorità e di convenienze. Tutto ciò è anche occasione per nuovi investimenti e crescita economica. Una vera green economy è anche una green society, cioè in definitiva società della conoscenza: nuove produzioni e nuovi consumi, saperi e diffusione di tecnologie, formazione e buone pratiche. Per questo bisogna curare i preziosi giacimenti di ricerca scientifica e di produzioni culturali che contengono la principale ricchezza del Paese. E’ una sfida impegnativa, resa ancora più urgente dalla crisi climatica e che vede in prima fila nel mondo le forze democratiche.
Non partiamo da zero. Grazie ai governi di centrosinistra milioni di italiani hanno scoperto i vantaggi dei pannelli solari, del recupero edilizio e del risparmio energetico, mentre migliaia di piccole imprese si sono giovate con il programma Industria 2015 di filiere produttive per le energie
rinnovabili, per la mobilità sostenibile, per i beni culturali e il “Made in Italy”. Ora è maturo un salto di qualità: l’Italia può diventare un Paese all’avanguardia nell’utilizzo delle fonti rinnovabili e per il risparmio energetico e su queste basi si può assegnare al Mezzogiorno una missione di crescita tecnologica e di sviluppo economico. Tutto ciò implica il ritorno di efficienti politiche pubbliche per l’innovazione e lo sviluppo sostenibile. Sono indispensabili per sostenere la domanda interna di consumi collettivi e beni comuni, aumentare la richiesta di nuove tecnologie che non viene sufficientemente dal tessuto produttivo, migliorare la qualità dell’organizzazione sociale, ridurre la dipendenza energetica e in alcuni casi anche per riqualificare la spesa pubblica.
Campo di applicazione ideale di tali politiche sono le città, i borghi e i territori italiani. La bellezza italiana si sposa con le produzioni immateriali dell’economia della conoscenza. E’ indispensabile una politica nazionale del territorio in grado di cogliere l’occasione: la cura del ferro nelle città, l’innovazione dell’industria edilizia verso bassi consumi, l’abbattimento delle emissioni di carbonio, politiche per la casa in affitto, le reti per le città digitali, la prevenzione dei rischi nell’assetto idrogeologico, politiche per l’agricoltura di qualità e la sicurezza degli alimenti, promozione del consumo responsabile. Sapendo che ci sono natura, storia e conoscenza nella crescita civile ed economica dell’ Italia.
Fare le riforme
Una parte significativa del Paese prova a reagire alla crisi con i propri mezzi. Non è aiutata dalle riforme, e anzi ha perso la speranza che si possano attuare davvero. Su questa delusione profonda prospera la destra, proteggendo le rendite, perpetuando l’assistenzialismo, facendo finta di riformare e offrendo solo scorciatoie di breve respiro alle legittime istanze dei settori produttivi
Su questa contraddizione il Pd e tutto il centrosinistra devono lavorare con serietà e impegno, consapevoli che tanti elettori votano a destra perché ancora non percepiscono un’alternativa. Sono lavoratori e professionisti, giovani e donne, innovatori e produttori che al Pd non chiedono urla e proteste, ma una proposta praticabile per il governo del Paese. Sono imprese che hanno bisogno di essere aiutate a superare la crisi e possono diventare protagoniste del nostro progetto. Sono ceti popolari che soffrono a causa di bisogni primari insoddisfatti e classi medie che avvertono il rischio di impoverimento. Bisogna affiancare coloro che fanno i conti con la crisi. Bisogna esserci. Per suscitare un progetto, un orizzonte di cambiamento. Come hanno saputo fare i democratici americani.
Abbiamo fiducia nel nostro Paese
Il nostro è un Paese che fa fatica a cambiare. Noi ne siamo parte, sia nei pregi sia nei difetti, e abbiamo la responsabilità di aiutarlo a migliorare. Per questo abbiamo fiducia nell’Italia. Solo chi stima un Paese è davvero in grado di riformarlo, perché conosce i punti di forza su cui agire. Le virtù dell’Italia sono tante, il difetto uno solo, da tanto tempo: non vince ancora la voglia di futuro.
Girare il Paese verso il futuro vuol dire puntare sulla nuova generazione che è in movimento ma non trova ancora rappresentanza: si fa avanti nel lavoro, nell’impresa e nelle professioni, nella cultura e nell’innovazione, nell’impegno sociale politico, fra le donne e fra gli uomini. E oggi chiede di voltare pagina: chiede un’Italia più giusta, più efficiente, più moderna, più libera. È al servizio della nuova generazione che è nato il Pd. Ai giovani è chiesto di raccogliere il testimone delle radici del movimento democratico: prendere le parti ed il punto di vista di chi lavora e produce, di chi è più debole e subordinato per costruire una società migliore per tutti.
Da dove ripartire
Ridurre le disuguaglianze, liberare il merito
In passato sono mancati i punti riconoscibili della nostra proposta al Paese, ora dobbiamo concentrarci sulle questioni più gravi: la cattiva distribuzione della ricchezza e il blocco della mobilità sociale.
Per diventare un Paese meno diseguale l’Italia deve dotarsi di una moderna rete di sicurezza sociale: riqualificare l’intervento pubblico e, dove possibile, promuovere una nuova alleanza tra Stato, terzo settore e privati ispirata al principio di sussidiarietà, nella chiarezza delle responsabilità. Riformare il welfare vuol dire superare il dualismo del mercato del lavoro, che colpisce soprattutto i giovani, aprendo dei processi univoci di inserimento e di stabilità del lavoro; sostenere le famiglie e i loro redditi; introdurre un reddito minimo di inserimento; estendere la qualità del sistema sanitario e renderlo sostenibile; aiutare i non autosufficienti. Ma l’obiettivo principale della riforma del welfare consiste nell’innalzare la qualità dei servizi in modo da offrire alle donne una base sicura per affrontare i diversi momenti della vita, dal lavoro, alla maternità, all’istruzione alla cura delle relazioni. Da questa base è possibile promuovere la piena e buona occupazione femminile, superando il pesante divario dell’Italia rispetto agli altri paesi europei e realizzando, così, una condizione essenziale per la crescita e la competitività.
Chi non trova lavoro o ha perso il lavoro, dipendente o autonomo, deve poter contare su un sostegno universale al reddito e su efficaci servizi pubblici di formazione e reinserimento. Bisogna occuparsi di salario minimo, anche per vie contrattuali, sollecitare una contrattazione che assicuri il potere d’acquisto e distribuisca meglio i guadagni di produttività. Va garantita nei fatti, e non a parole, la sicurezza nei luoghi di lavoro.
L’innalzamento flessibile e volontario dell’età pensionistica va favorito, ma al contempo è necessario estendere la contribuzione figurativa per i periodi di disoccupazione, di formazione o di esercizio di responsabilità famigliari per innalzare gli importi delle future pensioni.
Queste politiche sono sostenibili con un nuovo patto di fedeltà fiscale, anche per eliminare distorsioni della concorrenza, basato su una più equa distribuzione del carico tra i contribuenti e su meccanismi che inducano l’emersione, la trasparenza, la tracciabilità nella formazione dei redditi e delle basi imponibili.
Per affermare una reale eguaglianza delle opportunità occorre una rivoluzione copernicana che ponga al centro il merito e la responsabilità. L’Italia ha bisogno di una nuova stagione di liberalizzazioni: meno barriere di accesso alle professioni, più concorrenza nei servizi, imprese maggiormente contendibili, autorità realmente indipendenti, class-action a difesa dei consumatori. Agli imprenditori che scommettono sull’Italia il Pd deve proporre le riforme necessarie per competere: incentivi per la capitalizzazione, gli investimenti produttivi e la ricerca e sviluppo; un rapporto proficuo con le banche e con la pubblica amministrazione, meno tasse e meno burocrazia; infrastrutture materiali e immateriali degne di un Paese europeo.
Il Paese chiede molto alla scuola italiana. È chiamata ad aiutare la mobilità sociale, a mantenere unito il Sud e il Nord, a coltivare e praticare l’accoglienza degli immigrati, a rilanciare l’educazione permanente, a ripensare l’insegnamento tecnico per adeguarlo ai modi di produzione contemporanei. Per questo bisogna anche aiutare la scuola a cambiare: lontana dalle burocrazie ministeriali e ricca di autonomie, pronta a riconoscere i meriti, capace di valutare i progressi raggiunti rispetto ai livelli di partenza, generosa nel restituire motivazione civile e professionale ai docenti. Scuola, università e ricerca sono la prima fonte di energia per il Paese. Le università e gli enti di ricerca devono diventare le migliori istituzioni italiane. Ci vorrà molto impegno. Si può cominciare con nuove regole di finanziamento per aumentare i fondi a enti e atenei che raggiungono i migliori risultati scientifici, che sono inseriti nelle reti internazionali e che riconoscono i talenti dei giovani. Anche così si riporta il merito dal cielo alla terra.
Riformare lo Stato per mantenere unita l’Italia
Il principale problema italiano è se in futuro si potrà ancora parlare di Repubblica una e indivisibile. Molti, dapprima soltanto al Nord e ora anche al Sud, dichiarano apertamente che è meglio fare da soli. Questo spirito di separazione non riguarda soltanto lo squilibrio territoriale, ma pervade il corpo sociale e lo spirito pubblico. Rinnovare il patto di unità nazionale è il compito storico-politico del Partito democratico, è l’anima del nostro progetto.
La modernizzazione del Paese è il linguaggio comune di una nuova reciprocità tra Nord e Sud: le riforme che si muovono in questa direzione rispondono alle domande del Nord ma, al contempo, mettono anche in movimento il Sud. Al Sud, la nostra ambizione è quella di pronunciare la parola “Mezzogiorno” in una prospettiva rinnovata. Gli investimenti devono essere garantiti, non rubati, né rapinati né dispersi. Sono necessari meccanismi automatici, non intermediati, per sostenere gli investimenti di impresa e premiare chi raggiunge determinati standard di servizi. C’è bisogno di perequazione delle infrastrutture e dei beni collettivi. Il Sud potrà svilupparsi davvero soltanto se messo in condizione di farlo con le proprie forze. La divisione nasce dalla crisi dello Stato, ormai causa del rancore del Nord e strumento di dipendenza al Sud. Riformare lo Stato quindi, è l’unica via per mantenere unita l’Italia. Il federalismo responsabile e solidale è la rotta da seguire per avvicinare le istituzioni ai cittadini. Esso affonda le radici nel patrimonio delle culture autonomistiche e popolari di cui siamo eredi. Le sfide per l’immediato futuro si chiamano attuazione del federalismo fiscale, razionalizzazione e riforma delle autonomie locali, trasformazione del Senato in Camera delle Regioni e delle Autonomie. Ma lo Stato va anche riorganizzato secondo il principio della sussidiarietà orizzontale, valorizzando le energie di civismo democratico, del terzo settore e del volontariato.
Un’Italia unita da Nord a Sud fa bene prima di tutto agli italiani: accresce la nostra ricchezza e la nostra creatività, ci rafforza a livello internazionale.
Legalità è democrazia
C’è in Italia una crisi di legalità che erode le basi dell’organizzazione civile. Parte del territorio è presidiato dalle mafie, settori dell’economia sono intrecciati con la criminalità; l’abusivismo continua a sfigurare il Bel Paese, i diritti spesso diventano favori; continua l’odiosa violenza contro le donne, il lavoro nero cancella l’uguaglianza e, troppe volte, la vita; imprese e cittadini spesso non possono contare in tribunale sul giusto risarcimento di un danno subito.
Se a tutto ciò aggiungiamo le attività criminali legate all’immigrazione irregolare, è facile comprendere perché esploda l’insicurezza dei cittadini, e soprattutto dei ceti più disagiati, costretti a pagare il prezzo dei nuovi venuti, oltre a quello più pesante della crisi, senza vederne alcun
vantaggio. La legalità deve garantire la sicurezza, la prevenzione e il contrasto di fenomeni criminali che ostacolano la convivenza civile e alimentano le paure.
Su questi temi possiamo passare all’attacco. Il centrodestra, infatti, agita il problema della sicurezza, ma aggrava ogni giorno la crisi di legalità con i condoni. Per proteggere il suo leader non esita a indebolire gli strumenti di controllo dei corpi dello Stato. La legalità non ha a che fare con il colore della pelle, e neppure con il taglio dell’abito. O è per tutti, oppure non è legalità. Noi crediamo che la legge debba essere uguale per tutti: per i ricchi e per i poveri, per gli italiani e per gli stranieri, per i giudici e per i politici, per chi è famoso e per chi non lo è. La domanda di sicurezza va presa sul serio, con una strategia coerente attenta a favorire la libertà invece di soffocarla, a creare un sistema moderno di certezze e di garanzie giuridiche, ad accrescere la convivenza civile. Vogliamo progettare la sicurezza mettendo a fattor comune le diverse risorse istituzionali e sociali, forze di polizia, magistratura, enti territoriali, polizie locali, associazionismo civile e servizi alla persona, assicurando la qualità del lavoro svolto dagli operatori pubblici che hanno il dovere di tutelare la comunità.
Per realizzare le riforme abbiamo bisogno non soltanto dell’efficienza, ma anche del buon nome della pubblica amministrazione. Che si ottiene, come per le politiche industriali, attraverso meccanismi permanenti di riforma nelle molte e diverse strutture pubbliche, con strumenti efficaci di valutazione dei risultati e coraggiosi ripensamenti dell’organizzazione del lavoro, anche utilizzando l’occasione delle nuove tecnologie.
La destra preferisce insultare la pubblica amministrazione, senza riformarla. E quale credibilità può avere il governo delle leggi ad personam per chiedere ai dipendenti pubblici di essere irreprensibili? Una riforma sana e virtuosa dell’amministrazione comincia dall’alto, con il buon esempio della politica. È una sfida anche per noi. A cominciare dai costi della politica che devono essere equiparati ai costi medi nei principali Paesi europei. Il Pd ha il compito di dare al Paese una classe politica di alto profilo morale, sobria nei comportamenti, animata dallo spirito di servizio e di rispetto per le istituzioni e la comunità. Ci sono nel territorio molti nostri giovani amministratori, cresciuti con questo impegno, da promuovere e da valorizzare.
Laicità e valori condivisi per un’Italia più civile
Molti si sono chiesti se l’Italia stia perdendo le antiche virtù democratiche. Non è così. Di certo, però, è mancato un contrappeso culturale ai rischi di regressione civile. È venuta l’ora di richiamare ad alta voce altri valori e altri principi: che il momento più alto di una democrazia si rivela quando il potente china il capo di fronte alla legge; che il mio benessere aumenta se anche l’altro migliora le sue condizioni; che le classi dirigenti devono educare i giovani con il buon esempio nello studio e nel lavoro.
Bisogna puntare sulle energie civili del Paese che si esprimono ogni giorno nell’impegno sociale, nella partecipazione politica, nel volontariato, nei piccoli gesti di amicizia della vita quotidiana ed emergono con forza nei grandi momenti della vita nazionale, da ultimo nella solidarietà con il popolo abruzzese colpito dal terremoto.
Negli ultimi decenni il rapido sviluppo delle scienze, il movimento e l’incontro di persone, culture e stili di vita su scala planetaria, hanno investito l’umanità con nuovi interrogativi etici. Dove la crescita dell’informazione, della cultura e della responsabilità personale e istituzionale non sono altrettanto veloci, queste straordinarie opportunità di progresso suscitano rapidamente un regresso civile e morale: demonizzazione dello straniero e del diverso, nuove forme di sfruttamento,
oscurantismo, umiliazioni della dignità della donna, paura del progresso, nuovi fondamentalismi, chiusure identitarie. Questi rischi sono ben presenti nel nostro Paese. Su questo terreno culturale e morale il Partito Democratico intende impegnarsi, contribuendo giorno per giorno, casa per casa, alla crescita e al rilancio di un maturo spirito pubblico italiano ed europeo.
Il principio di laicità è la nostra bussola, la via maestra di una convivenza plurale. La laicità si nutre di rispetto reciproco e di neutralità – che non significa indifferenza -della Repubblica di fronte alle diverse culture, convinzioni ideali, filosofiche, morali e religiose. È anche impegno per la loro salvaguardia, promozione del dialogo interculturale e interreligioso, mutuo apprendimento: purché, naturalmente, tutti accettino un comune spazio pubblico di confronto e incontro nel quale gli unici principi non negoziabili siano quelli della Costituzione italiana e della Carta dei diritti dell’Uomo. In questo spirito i democratici hanno formulato proposte di legge largamente condivise sulle convivenze civili, sul testamento biologico e sulla libertà religiosa, che vanno rilanciate senza tentennamenti in Parlamento e nel Paese.
Dialogo e accoglienza sono anche i principi che si devono seguire per l’integrazione degli immigrati. E’ una buona legge sull’immigrazione quella che produce più legalità e più inclusione, non quella che preclude agli stranieri i percorsi regolari o li lascia ai margini della società. La stragrande maggioranza degli stranieri è in regola, vive in Italia da anni, spesso svolge un lavoro che noi non vogliamo più fare. A queste persone vanno riconosciuti i diritti civili e politici. Abbiamo bisogno degli stranieri quanto loro hanno bisogno di noi; senza dimenticare che, fino a qualche decennio fa, eravamo noi italiani ad emigrare, a milioni. Sull’immigrazione, abbiamo bisogno di regole chiare che dicano come si fa ad entrare in Italia e a stare in regola, come si incontrano domanda e offerta di lavoro, come si può avere in tempi certi il permesso di soggiorno. I flussi di ingresso devono corrispondere al fabbisogno occupazionale e rendere sostenibile l’inclusione dei nuovi cittadini.
Da soli si può fare poco
Il progetto che ci ispira non è compiuto: non è esaurita la questione dell’incontro tra culture ed esperienze politiche progressiste ancora oggi divise. Vogliamo essere chiari su questo punto: non c’è un Pd in cui confluire. C’è invece un vasto campo di forze di sinistra, riformiste, laiche e ambientaliste che ha cominciato ad unificarsi e alle quali è giusto guardare con attenzione, così come a tutte quelle forze di opposizione che incarnano valori importanti. Per loro, per noi, il Pd è la casa comune dei riformisti da costruire insieme.
La vocazione maggioritaria non significa rifiutare le alleanze, ma, al contrario, renderle possibili, perché costruite nella chiarezza, sulla base di vincoli programmatici. Non consiste nell’autosufficienza, ma nella capacità di ritrovare una funzione di rappresentanza popolare, e nell’impegno ad elaborare un progetto di governo che convinca il Paese. Non possiamo più confondere il bipolarismo, che è una conquista della nostra democrazia, con il bipartitismo, che non ha fondamento nella realtà storica, sociale e politica del Paese.
Il primo banco di prova verrà dalle elezioni regionali del 2010. Sarà necessario sperimentare su basi programmatiche larghi schieramenti di centrosinistra, alleanze democratiche di progresso alternative alla destra. Il nostro impegno comincia ora. I tanti italiani delusi da Berlusconi devono trovarci pronti, quando si volteranno dalla nostra parte.
Sul piano istituzionale noi scegliamo un modello parlamentare rafforzato in alternativa a formule più
o meno mascherate di presidenzialismo, una legge elettorale chiara e non stravolgente l’architrave costituzionale, da elaborare in collaborazione con chi crede ad un bipolarismo maturo che renda l’elettore determinante nella scelta degli eletti e del governo. Poiché noi crediamo nella struttura portante della nostra Costituzione intendiamo limitare le modifiche agli interventi essenziali per realizzare gli obiettivi indicati. E intendiamo anche risolvere il problema del conflitto di interessi che in tutti questi anni è andato aggravandosi, mettendo in pericolo la libertà di informazione, il rango civile del Paese e perfino l’immagine internazionale.
Noi, i Democratici
L’identità plurale dei democratici nasce dalla sintesi delle culture fondative dell’Ulivo. Nell’avvio del Pd si è pensato che l’eclettismo potesse allargare gli orizzonti e accrescere i consensi. Non è stato così. In futuro, a partire dall’azione politica concreta, dovremo porre molta cura nella ricerca e nell’elaborazione della nostra identità culturale di fronte ai grandi temi del mondo contemporaneo.
Noi siamo un partito popolare perché ci rivolgiamo ad un vasto arco sociale, dai ceti meno abbienti, ai ceti produttivi, alle nuove generazioni, e perché decidiamo di essere presenti in ogni luogo con esperienze e linguaggi legati alla vita reale delle persone. Non siamo classisti, non siamo elitari, non siamo populisti perché pensiamo che tutti possano, anzi, debbano ragionare con la propria testa.
Noi siamo un partito riformista perché crediamo che l’uomo possa cambiare le cose e che le cose possano essere migliorate. Per questo abitiamo dove abitano le forze progressiste ovunque nel mondo e per questo partecipiamo da protagonisti all’Alleanza fra socialisti e democratici nel Parlamento europeo.
Noi siamo un partito dell’uguaglianza secondo l’ispirazione del cattolicesimo democratico e della sinistra democratica e liberale perché crediamo in un mercato aperto e regolato, ma non intendiamo affidare al mercato il controllo di beni essenziali come la salute, l’istruzione e la sicurezza.
Noi siamo il partito delle donne e degli uomini perché crediamo che la differenza di genere sia una risorsa per la democrazia e per promuovere lo sviluppo umano. Nel secolo passato è stata una grande forza del cambiamento della società, dal suffragio universale, alle lotte di emancipazione, all’obiettivo delle pari opportunità, dell’autodeterminazione e della libertà di scelta. Con la sua concreta azione riformatrice il Pd invera questi principi nell’Italia di oggi e di domani.
Noi siamo un partito laico perché rispettiamo le fedi e le convinzioni morali di ciascuno. Siamo convinti che lo Stato sia la casa di tutti e che si debba garantire a tutti libertà di coscienza e di culto e che si debbano tener distinte le convinzioni religiose, filosofiche e morali -nutrimento del cammino esistenziale di molti – dalle leggi che regolano i comportamenti di tutti.
Noi siamo il partito dei lavori e dei ceti produttivi. Vogliamo tornare nei luoghi in cui si fatica e si produce, ascoltare chi intraprende e chi rischia in proprio. Vogliamo promuovere una nuova dignità del lavoro contro la rendita e il profitto sganciato dal merito. Vogliamo parlare a chi il lavoro non ce l’ha o convive con insopportabili forme di precariato. Vogliamo contrastare ogni forma di sfruttamento e insicurezza, così come la conservazione corporativa di privilegi e monopoli.
Noi siamo il partito dei diritti civili perché crediamo nella dignità, nell’autonomia, nella libertà, nell’uguaglianza di tutte le persone; siamo contrari ad ogni forma di discriminazione e contrari ad uno Stato che tenda a sostituirsi alla libertà e alla responsabilità dell’individuo.
Noi siamo un partito ambientalista perché siamo consapevoli che la Terra è una sola. Il rispetto per l’ambiente è il rispetto che dobbiamo alla nostra stessa casa. Non crediamo che sviluppo e ambiente siano fra loro alternativi: al contrario, l’ambiente è una risorsa essenziale per la crescita sostenibile, per l’innovazione e il ripensamento dei modelli di consumo.
Noi siamo il partito dei territori e della sussidiarietà. Per noi non c’è un centro che decide e una periferia che obbedisce, ma un equilibrio virtuoso tra i diversi livelli decisionali, sia per quanto attiene alle istituzioni che per il Partito.
Noi siamo il partito dei giovani perché scommettiamo sul futuro del nostro Paese stando dalla parte di chi bussa alla porta e non di chi la tiene chiusa. Per restituire ai giovani il desiderio di cambiare il mondo.
Noi siamo il partito della conoscenza e dei saperi perché abbiamo fiducia nell’ingegno umano, crediamo che senza sapere non ci sia libertà, consideriamo prezioso il riconoscimento dei meriti dei giovani ricercatori. Ci impegniamo a difendere la libertà della ricerca scientifica e intellettuale, a promuovere l’accesso universale alla conoscenza, a garantire la libera circolazione dei saperi.
Noi siamo il partito dei cittadini e del nuovo civismo perché crediamo nella libertà dell’individuo e nelle risorse di una comunità solidale. Ciò trae forza e senso da antiche radici, che oltrepassano largamente le vicende degli ultimi decenni. Radici di emancipazione e di riscatto, di autorganizzazione, di solidarietà, di autonomia che furono premessa vivente delle grandi formazioni politiche popolari all’affacciarsi del secolo scorso. Si formò allora l’idea che prendendo le parti di chi lavora e produce e di chi è più debole e subordinato, sia possibile costruire una società migliore per tutti. Noi quella società vogliamo costruire, non solo immaginare.
Noi, il Partito Democratico
La questione che ci siamo posti nei mesi scorsi non è se essere un partito “vecchio” o un partito “nuovo”, ma se essere davvero un partito: cioè una libera associazione di cittadini dotata di identità riconoscibile, organizzazione interna, radicamento sociale, luoghi di discussione e partecipazione, nonché di regole liberamente accettate e condivise. Non aver chiarito questi punti fondamentali ha indebolito il cammino iniziale del Pd. All’indomani delle primarie abbiamo deluso sia chi era legato a forme di militanza più tradizionali, sia chi si aspettava nuove forme di partecipazione politica e di coinvolgimento sociale. Abbiamo disperso un tesoro immenso, coltivando un’insensata contrapposizione tra elettori e iscritti, quando proprio gli elettori ci chiedono più presenza organizzata nei territori e nella società. Abbiamo un elettorato esigente e intelligente, una forza civile disposta a sostenerci nel voto e non solo. Il Pd deve rappresentarla compiutamente in ogni momento e in ogni sede.
Che cos’è un partito?
1. L’idea di partito ha a che fare con l’idea di democrazia. Rifiutiamo i modelli plebiscitari e riaffermiamo il valore dell’art. 49 della Costituzione. I partiti sono strumenti di partecipazione, di formazione civile, di impegno individuale e collettivo, di mediazione virtuosa tra società e istituzioni, di proposta e di indirizzo, di selezione democratica della classe dirigente.
2. Un partito è una comunità di donne e di uomini che vive di rispetto, amicizia, pari dignità e lealtà reciproci. Le iniziative popolari e le feste sono parte essenziale dell’attività di partito, così come la promozione di strumenti nuovi di comunicazione e socializzazione. La Rete non sostituisce, ma amplia le possibilità di comunicazione e di interazione ad ogni livello.
3. Un partito si organizza in circoli presenti in ogni comune o quartiere, nei luoghi di lavoro e di studio, nelle comunità all’estero, ma può aprirsi davvero agli elettori solo se è radicato e riconosciuto nel Paese. Si apre alle energie più fresche della società tramite una forte organizzazione giovanile. E’ riconosciuto da quelli che rappresenta e allo stesso tempo è capace di riconoscere altre forze sociali con cui fare un percorso comune e preparare il progetto di governo, per non ricadere nel riformismo dall’alto. Per questo, nel rispetto della reciproca autonomia, vanno coltivati rapporti con tutte le organizzazioni sociali, del lavoro, dell’impresa, dei consumatori, del volontariato.
Cosa significa democratico?
1. Il Partito democratico è un partito di iscritti e di elettori che persegue la parità di genere nelle responsabilità politiche. La sovranità appartiene agli iscritti, che la condividono con gli elettori nelle occasioni regolate dallo statuto. Agli iscritti sono riconosciuti diritti fondamentali come la partecipazione alle decisioni ai vari livelli (anche attraverso referendum) e l’elezione degli organismi dirigenti. Il Pd coinvolge gli elettori, attraverso le primarie, per selezionare le candidature alle cariche elettive con particolare riferimento alle elezioni in cui non sia presente il voto di preferenza. Partecipa alle primarie di coalizione con un proprio rappresentante scelto da iscritti e organismi dirigenti. Le primarie per l’elezione del segretario nazionale richiedono nuove regole ispirate a due criteri: non devono trasformarsi in un plebiscito e non possono essere distorte da altre forze politiche. Le primarie vanno rese più efficaci, rendendo più chiaro il meccanismo di partecipazione. L’albo degli elettori deve essere effettivamente pubblico e certificato.
2. Il Partito democratico è un partito nazionale organizzato su base federale. I rimborsi per le elezioni regionali, le entrate del tesseramento e delle feste, i contributi degli amministratori, sono destinati ai circoli e alle organizzazioni provinciali e regionali. Parte del finanziamento elettorale nazionale ed europeo va destinata a progetti di radicamento del partito nella società. Gli organismi dirigenti nazionali saranno formati per la metà da rappresentanti designati dai livelli regionali.
3. Gli organismi dirigenti ad ogni livello saranno composti in un numero ragionevole per consentire una discussione politica efficace e scelte consapevoli. Lo statuto garantisce i diritti dei singoli iscritti e delle minoranze. Gli organismi dirigenti hanno il dovere di ricercare attraverso l’aperto confronto delle opinioni la posizione comune da assumere nelle sedi politiche e istituzionali. Le deroghe rispetto alle posizioni comuni dovranno esprimersi sulla base di criteri valutati da un organo statutario. In ogni caso il Pd considera il pluralismo interno una ricchezza irrinunciabile e un motivo di orgoglio. Per tutte queste ragioni, con tutti questi impegni vogliamo costruire insieme un Paese da amare, un’Italia dove sia bello vivere, lavorare, crescere i propri figli. Con il Partito democratico.
Questo testo costituisce una traccia di discussione da sviluppare nel Congresso. Sarà accompagnata da documenti di approfondimento sui problemi qui esposti allo scopo di sollecitare osservazioni e proposte. Da questi arricchimenti verranno contributi utili per il programma che il candidato segretario proporrà alla Convenzione secondo quanto previsto dallo statuto .