Impietosa, ma… come darle torto? Dal “Fatto quotidiano” di ieri, la critica di Daniela Ranieri a “Ballarò” (Rai3) vs. “di martedì” (La7).
IL COMICO NON FA RIDERE, IL CONDUTTORE RIDE di Daniela Ranieri
“Sessant’anni di tv tra censura Dc, turpi editti e risentiti rosicamenti dei potenti in forma di esose querele, un risultato l’hanno prodotto: mentre la politica è vivissima, fa, disfa e si autoperpetua, la satira è moribonda, impallidisce, agonizza.
L’estrema unzione è stata somministrata l’altra sera, negli studi gemelli di Rai3 e La7. Officianti, i due giovanili rivali Floris e Giannini: l’uno alle prese col valente Crozza un po’ sedato; l’altro al capezzale dell’umorismo italiano in carne e ossa, sacerdote e testimone dell’esorcismo sull’ex diavolo Benigni.
Tutti e due impegnati nello sforzo terribile di farci ridere, nel caso il rispettivo comico non ci riuscisse da solo, ridendo a loro volta a gran voce, con un effetto da compagnia di giro, con l’impresario che siede in prima fila a fare la claque di un barzellettiere di grido che si è aggiudicato con considerevole esborso. stato come partecipare a una serata promessa divertentissima a cui i padroni di casa siano stati attenti a non invitare quelli che bevono troppo e finiscono per dire scurrilità.
Come presenziare alla cena de II fantasma della libertà di Bufluel avendo sotto il culo le poltrone di cartone pressato che fanno molto Paese reale invece che i wc della scena cult.
Perché se la regola è che non bisogna mai parlare troppo male di niente, anche la satira deve adeguarsi, trovando il giusto calibro tra un registro irriverente e uno addomesticato.
Le parolacce ammesse sono quelle che circolano in quasi tutti gli asili d’Italia. Le bestemmie no, giammai: infilate dal Benigni di Berlinguer ti voglio bene in una estatica, sfrenata orgia batailliana, oggi farebbero implodere il digitale terrestre settato su una decente filo-governatività ecclesiale.
IL DIAVOLO NON ROVESCIA più il trono e l’altare ma gli si inginocchia davanti, e chi vince va sempre risparmiato o almeno lasciato lavorare.
È ciò che succede quando un comico rinuncia all’ironia e sposa il cinismo: non fa ridere. Benigni è passato dall’irriverenza screanzata del corpo sciolto alla tisana regolativa, tutto un bon ton intestinale, ecumenico, che amalgama l’infatuazione mistica e risorgimentale, la decenza moderata della sinistra pre-Renzi e l’allineamento alla svoltabuona renziana.
La rimozione degli istinti più bassi si capiva già dalla rinuncia all’ingresso terroristico, cifra di Benigni nella Rai paludata degli anni 80, e nella scelta di sedere “in esterna” tra i ficus del cortile di viale Mazzini, da dove capistruttura e soubrette annunciano l’inizio della stagione in ministeriali conferenze stampa.
La reiterazione dello schema “domanda da statista – risposta da battutista” era registrata. Rientrati in studio, Prodi pareva scoppiettante, e si è dovuto aspettare la scena isterica di Brunetta per avere un po’ di teatro. La satira istituzionale ha dato a Benigni uno stato sociale che si guarda bene dal mettere in discussione. Non sia mai che la ferocia contro il potere di cui un tempo era maestro lo metta in una dubbia luce morale agli occhi degli spettatori ancora umidi del riveder le stelle.
Eppure Giannini rideva, forte, anche se con la “e”, come a quelle rimpatriate coi compagni di liceo in cui si ride a forza alle battute del ripetente che si ricordava esilarante e oggi, appesantito dagli anni, si produce in accettabili imitazioni dei professori. Quanto a Crozza, fa ridere fino a che Floris non ride. Chiudetegli il microfono, per carità. Non serve che ci ricordi didascalicamente quanto il suo prosciutto sia più buono di quello della pizzicheria accanto.
LE RISATE DEL CONDUTTORE offendono il comico più delle risate registrate da sit com, e l’effetto è quello delle convention aziendali in cui si chiama un comico che sale sul palco e sfotte l’amministratore delegato perché gli schiavi tornino a lavorare più contenti e coglionati.
Marcuse la chiamava “desublimazione repressiva”, ed è evidente nell’espediente di accattivarsi il sadico compiacimento del pubblico a casa facendo insultare gli ospiti in studio, peraltro felicissimi di essere insultati. Se un tempo il giullare deputato al divertimento privato del sovrano trovava il modo di dileggiarlo finemente, oggi avviene esattamente il contrario. Adesso la presa per il culo catodica spiega al pubblico chi comanda. Col risultato che i La Russa spasimano per essere imitati, e le loro risate in split screen neutralizzano ogni satira, creando una complicità tra privilegiati che fa tutto meno che ridere.
Questo tipo di satira non è politica perché non ha niente a che spartire con la realtà e la sua critica. Il pubblico vuole ridere di sé attraverso i personaggi che animavano il sottobosco della commedia, la canaglia variopinta che grida che il re è nudo e gli piazza la dinamite sotto il culo.
Altrimenti è tutto un lisciare i potenti e i milionari, e con certi compensi, certo, rideremmo pure noi.”
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