Dalla globalizzazione alla destrutturazione: ecco lo stato in cui si trova l’economia mondiale. Ormai da tempo ci si interroga sul come reagire alla crisi evitando sia il rigore imposto dai tedeschi, sia le scelte politiche che ci hanno ridotti in questo stato. Giovedì scorso si è tenuto un interessante dibattito presso la sede di Io Cambio Catania sul tema “ Capire la crisi: la mutazione del Capitalismo”. Si è discusso della crisi attuale partendo dalla lettura del libro “Il film della crisi”di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini, grazie anche all’intervento di amici come Marisa Meli, Alberto Andronico, Attilio Scuderi, Francesco Siracusano. A coordinare e aprire i lavori è stato l’avv. Concetto Ferrarotto il quale ha sottolineato l’importanza del tema in questione che ha generato un bombardamento di notizie che poco spiegano e molto impauriscono.
Perché il libro di Ruffolo-Labini? La risposta sta nel fatto che il testo solleva molte riflessioni e seppur in modo semplicistico spiega a 360 gradi la nostra economia. La scelta poi di riunire attorno a un tavolo giuristi e docenti che non hanno competenze specifiche in materia,è nata dalla consapevolezza che il libro in esame parla anche di nuove regole e tentare di organizzare il pensiero in maniera diversa, adottando un approccio non prettamente economico ha voluto offrire un’altra chiave di lettura. Diversi i punti di vista dei relatori, ma tutti accomunati da una certa fiducia nella possibilità di agire e nella necessità di un nuovo approccio di politica economica in cui gli obiettivi di sviluppo civile tornino ad avere la priorità sui risultati finanziari speculativi di breve periodo. Alberto Andronico, docente di filosofia del diritto, si è soffermato sull’etimologia della parola “crisi”, il cui significato evoca lo spazio delle possibilità, contrariamente all’uso che se ne fa quotidianamente, che la identifica piuttosto con uno stato di stallo in cui non c’è più nulla da fare. Secondo Andronico il libro invece, offrendo soluzioni concrete alla crisi, recupera quello che è il senso primitivo della parola. “ La mutazione del capitalismo- aggiunge Andronico- non è altro che lo scollamento tra economia e finanza. La seconda non è più al servizio della prima ma si è resa autonoma, spesso contro il funzionamento stesso dell’economia reale. E’ saltata così la distinzione tra mezzo e fine. Bisogna tornare ad avere fiducia- conclude- e non comportarsi come gli animali che vivono una dimensione ristretta al presente”. Diverso il punto di vista di Marisa Meli che ha trovato superficiale il libro specie nella parte ricostruttiva, in quanto le soluzioni prospettate dagli autori non tengono da un punto di vista economico ed empirico. Per la Meli il modello di uno Stato dirigista e monopolista che poteva andar bene quando la Costituzione è stata emanata, adesso va riveduto e contestualizzato. Data l’interconnessione dei sistemi finanziari, non ci si può abbandonare a un appiattimento delle soluzioni. “L’economia di mercato – afferma la Meli – rivendica che alcuni beni debbano essere assicurati dallo stato, perché il mercato da solo non riesce. Ma per fare questo c’è bisogno di uno Stato forte, solo così è possibile trovare un nuovo equilibrio”. Per Attilio Scuderi la sinteticità del libro è al tempo stesso pregio e difetto, in quanto se da un lato semplifica, dall’altro sminuisce la massa critica insita nel capitale che ha in sé la capacità di distruggere ogni forma di democrazia. Per Scuderi il libro è una sorta di manifesto, ed è questo il ruolo che gli si deve dare in quanto si parla di nuovo europeismo, argomento delicato che se messo nelle mani sbagliate può avere conseguenze pericolose. E in una fase di depressione come quella attuale, non si possono applicare misure troppo rigide di austerità. Per Siracusano il capitalismo finanziario rappresenta una naturale degenerazione di quello industriale e intervenire con soldi pubblici per sanare scelte private, come avvenuto per salvare le banche è una scelta irrazionale. Ha poi aggiunto che la nostra terra ha bisogno di meno demagogia e più risposte concrete, sottolineando come a Catania il problema della crisi abbia devastato il commercio prima ancora dell’industria. Io sono convinto che sia necessario educare i giovani per ripartire e portare avanti la rinascita della città. Oggi siamo qui a parlare di una crisi strutturale che richiede uno sviluppo più ricco perché diversamente ricco, che metta in campo nuove relazioni internazionali cooperative, perché siamo davanti a criticità che richiedono uno scenario diverso. Non siamo economisti ma la crisi interessa anche noi. Di fronte a problematiche così ampie, non servono solo economisti, politici e politicanti, ma servono coloro che guardano al futuro e che hanno la capacità di leggere la complessità del problema e la voglia di fare uno sgambetto a chi pensa che le cose non possano cambiare. La nostra è una crisi finanziaria frutto di azioni spericolate che ci hanno fatto indebitare lasciando che a pagare fossero i soggetti sbagliati. Questo è un prezzo troppo alto che richiede una svolta. Nella nostra città è’ stato approvato un piano di risanamento che bloccherà lo sviluppo per altri dieci anni e questo è inaccettabile. Siamo passati dall’età dell’oro a quella del debito. Ma se la globalizzazione è un dato di fatto irreversibile, sul fronte della crisi che stiamo attraversando possiamo reagire. Sono convinto che la crisi non sia infinita, ma per uscirne occorre lavorare seriamente su molti fattori. L’economia italiana è stata drogata per anni da una svalutazione competitiva e da una spesa senza limiti. Ora è il momento di fare scelte diverse in favore di una democrazia a livello europeo, vero tema da declinare. Siamo europeisti convinti, ma non perché innamorati di un’idea, ma perché crediamo in questa prospettiva di pace. Siamo anche progressisti nella misura in cui miriamo a un equilibrio tra diritti e società. Il confronto attuale non riguarda solo Europa e Stati Uniti, ma esistono altre economie ben coordinate tra loro con cui confrontarsi, nazioni che fino a qualche tempo fa erano meno vulnerabili agli shock esogeni e che adesso sono parte del sistema. Resta il fatto che l’America è una democrazia e noi no. Dobbiamo fare un passo in avanti per essere veri interlocutori internazionali, oltre che un reale organismo democratico. Questo è nelle intenzioni del Pd e del centrosinistra con la speranza che divenga patrimonio comune a livello europeo.
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