da www.unita.it, l’ intervista a Vasco Errani di Simone Collini
È in atto un attacco contro la politica, in generale, senza distinzioni», dice Vasco Errani paventando gli effetti negativi di un’operazione che «favorisce inevitabilmente la destra» e mette a rischio la «qualità della democrazia».
Per il presidente della Regione Emilia Romagna, gli esponenti della maggioranza che citano i casi riguardanti Alberto Tedesco e Filippo Penati per denunciare una questione morale nei confronti del Pd hanno l’obiettivo di «nascondere la grave questione sociale di cui è responsabile il governo».
Ma c’è o no una questione morale nel Pd, presidente Errani?
«Non c’è. Ci sono singoli casi».
Che pongono o no un problema?
«Il punto fondamentale è che la nostra diversità non ha un carattere genetico. La diversità si definisce nei comportamenti. La nostra differenza rispetto alla destra è che il Pd, sia sul caso Tedesco che nell’inchiesta riguardante Penati, ha detto che non c’è fumus persecutionis e che la magistratura deve svolgere il suo lavoro. E su questa linea ha poi tenuto comportamenti coerenti».
Dice che è stato un comportamento coerente anche non votare a favore della soppressione delle Province, mentre si fa un gran parlare di costi della politica?
«Guardi, è giusto che la politica, a tutti i livelli, affronti con chiarezza questo tema e dia un segnale coe- rente di sobrietà. Noi come Emilia Romagna lo abbiamo fatto, eliminando i vitalizi per i consiglieri regionali, ed è stata una scelta giusta. Sulla questione delle Province il Pd ha avanzato proposte chiare proponendo una riforma istituzionale organica, che punta a ridurre i costi ma anche a garantire un efficace esercizio dei poteri istituzionali. La demagogia, l’attacco alla politica, senza distinzioni, la delegittimazione generale, hanno come unico esito quello di favorire la destra. Una destra, del resto, che sta facendo di tutto per nascondere la grave questione sociale di cui è responsabile il governo».
Perché sostiene che l’antipolitica giova alla destra?
«Perché una politica totalmente delegittimata dà spazio a un modello populista e proprietario delle istituzioni. E così facendo colpisce la qualità della democrazia. Il Pd su questo deve condurre una energica battaglia culturale».
Come, in concreto?
«Il Pd deve costruire, come sta facendo e come ha fatto con il referendum, un rapporto molto stretto con la società civile. Anche continuando la sua azione di innovazione del partito. Bersani giustamente ha lanciato la conferenza sul partito, che dovrà portare a una costruzione dal basso del Pd e a un rinnovamento della classe dirigente. Con i partiti personali e con il populismo non si compiono di certo passi avanti ma rischiamo di costringere l’Italia ad un pericoloso passo indietro».
Sul federalismo, secondo lei che è presidente della Conferenza delle Regioni, abbiamo fatto passi avanti o indietro?
«Con questa manovra è stata messa la parola fine al federalismo fiscale. Questa è una responsabilità grave del governo, che ha approvato soltanto misure socialmente inique e assolutamente centraliste. Tanto che è stato messo discussione non solo il federalismo fiscale ma un’esperienza autonomista che storicamente, pensiamo in primo luogo ai Comuni, ha dato moltissimo all’Italia. Ma soprattutto con questa manovra non è stata compiuta nessuna scelta su una questione decisiva per l’Italia, la crescita e il problema del lavoro per i giovani».
Teme che gli amministratori locali, costretti a imporre ai cittadini tagli e nuove tasse, siano anch’essi colpiti da un sentimento di antipolitica?
«Il rischio c’è ma noi dobbiamo trovare il modo di costruire un rapporto serio con i cittadini, per spiegare come stanno effettivamente le cose. Bisogna fare precise scelte per ridurre i costi di gestione, ma è necessario anche evidenziare le responsabilità del governo sul fatto che dopo questa manovra sono in discussione servizi fondamentali, come l’assistenza, la sanità, le politiche giovanili e sociali».
Dal suo osservatorio bolognese, cosa dice dei ministeri al Nord voluti dal Carroccio?
«È il segno drammatico delle difficoltà e delle contraddizioni della Lega. Prima bisognava smontare i ministeri per dare funzioni al territorio. Oggi non trovano di meglio da fare che mettere i pattini sotto i ministeri nel tentativo di nascondere la crisi di governo e il fallimento sul federalismo. Ma penso che questo fallimento sia chiaro a tutti, compresi gli elettori leghisti».
Sarà chiaro, ma la maggioranza in Parlamento c’è: non c’è niente che possa fare l’opposizione per accelerare la crisi?
«La battaglia principale del Pd è liberare il Paese da questo governo al più presto. Prima il governo Berlusconi se ne va, meglio è per la nostra società. Il primo problema è il governo, che non ha credibilità internazionale né politiche per la società italiana».
Per il Terzo polo e anche per personalità del Pdl come Pisanu sarebbe auspicabile un governo di larghe intese: secondo lei? «La via maestra sono le elezioni politiche, per ridare la parola ai cittadini. Salvo, se ci sono le condizioni, dar vita a un governo che abbia in primo luogo l’obiettivo di approvare una legge che dia agli elettori la possibilità di scegliere i loro rappresentanti in Parlamento e anche da chi essere governati».
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