A Catania, capitale dei call-center in Italia, e in generale in Sicilia dove il settore registra numeri da record assistiamo da mesi a fenomeni ingiustificabili in un settore che dà lavoro a moltissimi giovani costretti spesso a subire stipendi da fame. Ma a preoccupare ulteriormente è la pratica delle delocalizzazioni senza alcun controllo in Paesi senza tutele sindacali e in cui i salari sono miseri: è necessario porre un freno ad una tendenza che non soltanto indebolisce il nostro sistema economico ma mette seriamente a rischio i dati personali sensibili e la privacy dei cittadini.
Ho presentato una interpellanza al Ministro dell’Interno per lanciare questo allarme, riprendendo diverse denunce fatte dalle organizzazioni sindacali.
In Sicilia sarebbero oltre 30 le società che gestiscono call center, occupando oltre 16 mila operatori telefonici mentre a Catania sarebbero circa 7 mila i giovani che operano presso i call center.
A causa del basso salario, delle scarse possibilità di carriera, del bassissimo turn over, un impiego nato come occupazione di passaggio si è spesso trasformato nel lavoro di una vita. Nel comparto outbound, in cui sono gli operatori a contattare gli utenti, le condizioni dei lavoratori sono anche peggiori: i contratti più diffusi sono di 3 mesi e non superano i 300 euro mensili.
Con la fine degli sgravi fiscali e delle agevolazioni, poi, è iniziato un lento trasferimento delle sedi dei call center verso località estere, economicamente più convenienti, tanto che ad oggi sarebbero circa 12.000 i posti di lavoro persi e circa 3.000 le richieste di ammortizzatori sociali, numeri che il prossimo anno potrebbero aumentare ulteriormente.
Le destinazioni sono soprattutto l’Albania, la Romania , la Croazia , la Tunisia e l’Argentina, Paesi contraddistinti da tutele sindacali minime o inesistenti e da salari bassissimi (lo stipendio medio per un operatore in Albania sarebbe di soli 80 euro al mese).
Il trasferimento di queste attività all’estero ha comportato una grave crisi occupazionale, specie in città come Catania e Palermo, già fortemente segnate dalla crisi economica, ma questa pratica di delocalizzazione rischia anche di indebolire complessivamente il sistema Paese a causa del trasferimento di quantità indefinite di dati personali sensibili di cittadini (codice fiscale, dati bancari, numeri di carte di credito) in Paesi che non garantiscono un’adeguata tutela dei dati sensibili e che sono tra i primi al mondo per tasso di pirateria informatica. Un rischio noto alla Prefettura di Catania, che ha richiesto un parere al ministero dell’Interno da cui emergerebbe la volontà del ministero stesso di effettuare verifiche sui casi di cui la Prefettura venisse a conoscenza. Proprio per questo mi rivolgo al ministero chiedendo di vigilare sul fenomeno delle delocalizzazioni affinché vengano assicurate le tutele dei dati personali dei cittadini.
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