Nelle carceri italiane siamo ampiamente oltre la soglia di massima tolleranza. Il livello di sovraffollamento sta determinando una situazione in grado di compromettere la sicurezza del paese. Il governo non puo’ restare inerte davanti a questa vera e propria emergenza umanitaria in palese contraddizione con i diritti costituzionalmente garantiti.
E’ questo l’allarme che il PD lancia ancora una volta con la mozione riportata qui di seguito, presentata questa mattina alla Camera dei Deputati: un testo che indica al Governo come risolvere l’emergenza impegnandolo ad affrontare in concreto l’emergenza del sovraffollamento degli istituti di pena, ponendo particolare attenzione alle condizioni di vita dei detenuti, allo stato dell’edilizia penitenziaria. Ma anche per sollecitare l’ampliamento delle alternative alla detenzione, a favore di quelle misure supportate da progetti volti al reinserimento sociale.
Verificare l’adeguatezza delle piante organiche del personale di polizia penitenziaria, degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi; risolvere le disfunzioni della sanita’ penitenziaria ed affrontare le cause dell’elevato numero di morti e di suicidi ed in fenomeni di autolesionismo e violenza.
E’ una mozione che prende spunto dalle parole del Presidente della Repubblica che nel suo discorso di fine anno ha ricordato i detenuti parlando di ‘carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si e’ esposti ad abusi e rischi e di certo non si rieduca”.
Il testo della mozione:
MOZIONE
La Camera, premesso che:
– i detenuti ospitati nelle strutture carcerarie italiane sono circa 66.000, una cifra che è destinata ad aumentare nei prossimi mesi,
– si tratta di un ‘primato’ mai raggiunto nella storia repubblicana che pone problemi molto rilevanti. I 206 istituti di pena possono, infatti, ‘tollerare’ 64.237 detenuti nonostante, da Regolamento, non potrebbero ospitarne più di 43.087, come del resto confermano le dichiarazioni del direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), Franco Ionta, che, in una recente audizione in commissione Giustizia, ha parlato di ‘situazione in grado di compromettere la sicurezza del Paese’,
– siamo, dunque, ampiamente oltre la soglia massima di tolleranza, in una situazione di emergenza che investe l’intero territorio nazionale come ha evidenziato il Presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno, ricordando “i detenuti in carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi e di certo non si rieduca”,
– di fronte a una tanto grave situazione, anche nella recente audizione davanti alla Commissione giustizia, il dott. Ionta non ha saputo rispondere esaurientemente su tempi effettivi e fonti di finanziamento, limitandosi a ripetere (come del resto aveva già detto il ministro sin dal mese di agosto) che il Piano Carceri “costerà” circa 1 miliardo e 600 milioni di euro, dei quali sarebbero disponibili solo 250 milioni, ai quali la legge finanziaria 2010 ha aggiunto un finanziamento di soli 500 milioni di euro, per un importo complessivo che, quindi, non raggiunge la metà delle ipotizzate necessità di investimento. Peraltro, i tagli alle risorse destinate alla giustizia conseguenti alla cosiddetta finanziaria triennale dell’estate 2008 (D.L. 112/2008, convertito nella legge 133/2008), stanno causando, invece, esiziali difficoltà di gestione ed efficienza amministrativa in tutti gli istituti penitenziari, difficoltà che, in taluni casi, raggiungono punte di vera e propria «emergenza umanitaria», in palese contraddizione con i diritti costituzionalmente garantiti,
– diverse associazioni hanno lanciato l’allarme sulle condizioni delle carceri: dall’Unione delle camere penali, all’Associazione dei dirigenti dell’amministrazione carceraria, dal SAPPE (sindacato della polizia penitenziaria), da CGIL- CISL e UIL al Garante dei detenuti della Regione Lazio, tutti concordi nell’affermare che le condizioni attuali di vita carceraria sono spesso lontane dai normali livelli di civiltà e di rispetto della dignità del detenuto;
– il drammatico sovraffollamento degli istituti di pena è all’ordine del giorno in tutto il Paese, con punte molto preoccupanti in alcune realtà regionali (Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto);
– è evidente che il sovraffollamento sarà destinato ad aumentare sempre più se le carceri continueranno ad essere considerate il luogo in cui riversare tutti gli esclusi sociali e i soggetti deboli della società, in un regime che per nulla garantisce il rispetto del dettato costituzionale;
– ulteriori dati preoccupanti derivano dall’analisi dello status della popolazione detenuta. Il 50% del totale dei detenuti sono imputati in attesa di giudizio, costretti per periodi di tempo troppo lunghi a convivere fianco a fianco con i già condannati. Assolutamente insufficiente appare il ricorso alle misure alternative alla detenzione. Va ancora rilevato, più in generale, che accanto ad un sovraffollamento che è definibile come quantitativo, esiste anche un affollamento di carattere qualitativo. Esso si può ricondurre alle diverse tipologie di popolazione detenuta, ciascuna di essa portatrice di diverse istanze ed esigenze. La forzata convivenza in pochi metri quadri, per mancanza di idonee strutture, di detenuti giovani e adulti, imputati e condannati, di diverse razze e religioni, soggetti sani e con problemi psichiatrici e/o di tossicodipendenza (quando non addirittura di sieropositività; i dati più recenti dimostrano, infatti, che solo un terzo dei nuovi giunti in carcere si sottopone a screening volontario per l’accertamento del virus HIV), crea notevoli problemi di promiscuità e di tensione anche in situazioni dove l’affollamento non è particolarmente rilevante;
– relativamente al programma per le carceri, riguardante sia nuovi interventi edilizi che la ristrutturazione di quelli esistenti, si deve prendere atto dei ritardi di tale programma e del progressivo degrado di molti degli istituti penitenziari. Oltre alla assoluta inosservanza degli standard europei sulla dimensione e gli spazi delle celle, sono da rilevare carenze gravi nell’igiene, nell’illuminazione, nel decoro e nel clima delle celle (riscaldamento e refrigerazione); nella presenza difettosa dei presidi sanitari (infermerie, centri clinici, numero di medici), il che aggrava a sua volte le patologie più frequenti. Nonché carenze negli spazi destinati alla socialità e all’attività di studio e di lavoro dei detenuti, cui si deve aggiungere l’effetto deleterio dei recenti ulteriori tagli anche sulle mercedi e il lavoro dei custoditi. E la patente violazione, in particolare, del principio della territorializzazione della pena, così come garantito dalla inapplicata legge n. 354 del 1975 e successive modifiche, laddove all’articolo 4, stabilisce che «nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituto prossimi alla residenza delle famiglie»;
– preoccupano poi le frequenti segnalazioni di maltrattamenti e violenze, i casi di morte in carcere (da ultimi i casi di Stefano Cucchi e Uzoma Umeka) e quelli di suicidio. D’altronde, il citato aumento esponenziale delle aggressioni ad agenti di polizia penitenziaria, la paventata rivolta carceraria dell’estate 2009, le reiterate proteste delle associazioni sindacali del personale carcerario, sono tutti segnali di un malessere ormai ad un punto di non ritorno;
– d’altra parte l’aumento della popolazione carceraria risulta essere inversamente proporzionale alla presenza del personale di polizia penitenziaria. Nel 2001 erano presenti 41.608 agenti penitenziari a fronte di 53.165 detenuti, nel 2009 gli agenti sono 39.000 e i detenuti 64.859. La pianta organica della polizia penitenziaria è fissata per legge in 45.121 unità. Ci troviamo, pertanto, con circa 6.000 unità in meno, per di più rispetto ad un organico ormai certamente di per sé inadeguato. A ciò si devono sommare le carenze di personale amministrativo e l’assoluta inadeguatezza delle presenze degli assistenti sociali, degli psicologi e degli educatori. Senza parlare degli effetti negativi di una transizione senza fine dalla sanità penitenziaria alle Asl, il che si riverbera in una drastica riduzione dei servizi di cura e recupero per i detenuti;
Impegna il Governo:
a) ad affrontare concretamente, mediante una mirata e lungimirante programmazione, la grave emergenza del sovraffollamento degli istituti di pena, ponendo particolare attenzione alle condizioni di vita dei detenuti, allo stato dell’edilizia penitenziaria, agli spazi detentivi e a quelli comuni, in relazione anche al profilo specifico dei detenuti medesimi (tossicodipendenti e malattie psichiatriche), e la cui pericolosità sociale è ridotta ab origine; dovendosi ritenere superata l’attuale unicità del modello strutturale e organizzativo del carcere;
b) a disporre in tempi brevi un monitoraggio delle strutture penitenziarie esistenti al fine di individuare quelle che in una prima fase sperimentale possano prestarsi all’attivazione e espansione delle esperienze di trattamento avanzato quali quelle realizzate nell’istituto penitenziario di Milano Bollate, anche con il supporto di sistemi di controllo a distanza (cosiddetto braccialetto elettronico), opportunamente tarati per i soggetti, condannati o in misura cautelare, anche nuovi giunti, ai quali non siano attribuiti fatti-reato caratterizzati da abituale violenza;
c) ad ampliare la tipologia delle misure alternative in favore di quelle specificamente supportate da progetti professionalmente strutturati volti al reinserimento sociale quali l’istituto della messa alla prova, positivamente sperimentato nel campo del trattamento dei minori, ovvero di patti per il reinserimento e la sicurezza sociale fondati su attività di giustizia riparativa a favore delle vittime dei reati, programmi di istruzione, di attività sociali e culturali, di formazione professionale e di inserimento lavorativo;
d) a sostenere il sistema delle misure alternative alla pena detentiva mediante un sistema di co-finanziamento dei progetti finalizzati al reinserimento sociale dei detenuti e degli internati, garantito da una parte dai fondi della Cassa delle ammende e dall’altro dalla reti integrate degli interventi e dei servizi sociali territoriali previste dalla legge 328 del 2000, anche mediante l’istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative per i condannati che non dispongano di supporto socio-familiare;
e) ad evitare il susseguirsi di interventi normativi settoriali in campo penale, volti al mero inasprimento delle pene, all’irrigidimento degli strumenti processuali che non realizzano un’efficace e coordinata azione di contrasto alla criminalità, ma acuiscono le problematiche connesse al sovraffollamento carcerario;
f) a sostenere, in Parlamento, una riforma di sistema che preveda la riduzione dell’area dell’illecito penale laddove riferito a comportamenti di scarso disvalore sociale con un ampliamento ed una differenziazione delle tipologie sanzionatorie, con l’affiancamento alla pena detentiva di altre pene interdittive, ma non privative delle libertà personali, irrogabili dal giudice penale di cognizione allo scopo di ridurre il ricorso alla pena detentiva, laddove non necessaria e nel contempo rendere più efficace il sistema sanzionatorio nel suo insieme, soprattutto con riferimento ai reati non gravi;
g) ad intensificare l’azione diplomatica per concludere accordi finalizzati a far scontare ai detenuti stranieri, per quanto possibile, la detenzione nei Paesi d’origine, nella garanzia del rispetto dei diritti fondamentali della persona;
h) a vigilare sull’applicazione della normativa in materia di edilizia carceraria al fine di superare l’attuale modello di istituto penitenziario per affrontare le nuove esigenze e i nuovi bisogni dei detenuti, anche nell’ambito degli interventi di ristrutturazione in corso, cui dare priorità; a garantire, nell’ambito dei progetti della nuova edilizia penitenziaria, i criteri di trasparenza delle procedure e l’economicità delle opere fissando regole rigorose per la valutazione del patrimonio dello Stato in relazione al cosiddetto project financing, evitando il ricorso a procedure straordinarie anche se legislativamente previste;
i) ad accertare la corretta e compiuta attuazione dei regolamenti penitenziari, in particolare per la parte concernente le garanzie dei diritti delle persone detenute nonchè a garantire la piena applicazione dell’articolo 4 della legge n. 354 del 1975 concernente il principio della territorializzazione della pena;
l) a verificare l’adeguatezza in proporzione alla popolazione carceraria delle piante organiche riferite non solo al personale di Polizia penitenziaria ma anche alle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi; avviando un nuovo piano programmato di assunzioni che vada oltre al turn-over dovuto ai pensionamenti previsto dalla legge finanziaria 2010 e che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all’attivazione delle nuove strutture penitenziarie, anche distribuendo meglio il personale sul territorio, concentrandolo nei compiti di istituto e sottraendolo ai servizi estranei, consentendogli un adeguato, costante ed effettivo aggiornamento professionale;
m) a risolvere le attuali disfunzioni della sanità penitenziaria acuitesi in concomitanza della delicata fase di trasferimento delle funzioni al Sistema sanitario nazionale, assicurando sia adeguate risorse finanziarie alle Regioni sia prevedendo l’adozione, da parte delle Regioni stesse, di modelli organizzativi adeguati alla specificità del contesto carcerario che sconta, oltre la particolarità delle patologie, specifiche ed inderogabili esigenze di sicurezza; ad affrontare una buona volta le cause dell’elevato numero di morti e di suicidi in carcere ed i fenomeni di autolesionismo e di violenza in genere; ad affrontare con nuovi strumenti normativi il problema dei detenuti tossicodipendenti, in particolare valutando la possibilità che l’esecuzione della pena avvenga in istituti a custodia attenuata, idonei all’effettivo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi;
n) ad assicurare, con adeguati provvedimenti organizzativi e di finanziamento, l’attuazione del diritto allo studio e al lavoro in carcere;
o) a garantire l’effettiva destinazione alla realizzazione dei programmi di riabilitazione e reinserimento sociale dei condannati, dei fondi a ciò vincolati della Cassa delle Ammende;
p) a favorire l’approvazione di una legge per l’istituzione a livello nazionale del Garante dei diritti dei detenuti ossia di un soggetto che possa lavorare in coordinamento con i garanti regionali e comunali e con la magistratura di sorveglianza, in modo da integrare quegli spazi di intervento rispetto alle diffuse situazioni di difficoltà del nostro sistema carcerario, che non possono essere risolte in via giudiziaria;
q) all’applicazione concreta della legge 22 giugno 2000, n. 193, la cosiddetta Legge Smuraglia, al fine di incentivare la trasformazione degli Istituti penitenziari da meri luoghi di permanenza di persone in condizioni di prevalente e permanente inerzia di per sé distruttiva, in soggetti economici capaci di svolgere parte attiva e competitiva sul mercato anche al fine di autoalimentare le risorse economico-finanziarie necessarie per operare riducendo così gli oneri a carico dello Stato e quindi della collettività;
r) ad eliminare gli ostacoli che ancora non permettono alle madri e ai loro piccoli, quelli di età compresa tra zero a tre anni, di scontare la pena detentiva in un luogo diverso dal carcere; nonché ad istituire le case famiglia protette, al di fuori delle strutture penitenziarie, da considerarsi una forma detentiva privilegiata quando sia indirettamente coinvolto un bambino.
FRANCESCHINI
VENTURA
MARAN
VILLECCO CALIPARI
AMICI
BOCCIA
GIACHETTI
LENZI
QUARTIANI
ROSATO
FERRANTI
ORLANDO Andrea
MELIS
SAMPERI
TIDEI
TOUADI
BERNARDINI
CAPANO
CAVALLARO
CIRIELLO
CONCIA
CUPERLO
FARINA Gianni
ROSSOMANDO
TENAGLIA
VACCARO
BERRETTA
E’ una società a pezzi, sì. Folle, schizofrenica. Dove la gente ormai ha perso la bussola sotto tanti punti di vista. E la mostruosa condizione delle nostre carceri lo dimostra ampliamente.
No, l’America sarà lontana, ma non c’è da rallegrarsi. E’ una società a pezzi quella italiana. Lo si vede anche da simili particolari.
Assolutamente no, cara … Negli Usa la popolazione carceraria è all’incirca l’1% della popolazione complessiva (3 milioni di detenuti su 300 milioni di abitanti dell’Unione) … Qui in Italia poco più dello 0.1% … Non mi sembra proprio il caso di fare paragoni con la situazione americana ….
66mila carcerati? Ma siamo diventati come gli Usa, fecendo le debite proporzioni.