Siamo tutti irregolari

irregolari

Ieri a Catania ho partecipato al dibattito di chiusura della summer school on migration studies Etnika, organizzata dalla Fondazione Xenagos, giunta quest’anno alla terza edizione.

Essere riusciti a fare di Etnika un appuntamento imprescindibile per quanti si interrogano sui temi dell’immigrazione e dell’accoglienza ed essere giunti al terzo appuntamento, è di per sé dimostrazione di un grande risultato. E’ doveroso riconoscere questo alto merito a Xenagos e al suo presidente Orazio Micalizzi.

Le politiche dell’accoglienza sono centrali per chi si interroga sul futuro della nostra società, ma difficilmente entrano a sufficienza nell’agenda politica e nelle prime pagine dei giornali, a meno che l’emergenza non si coniughi con la cronaca di tragedie di grandi proporzioni.

Da ultimo è arrivata l’Emergenza Nord Africa, un evento storico, di portata epocale che – l’ho detto anche in altre occasioni – avrebbe dovuto rappresentare una cesura nelle politiche dell’immigrazione e dell’accoglienza.

La politica e le istituzioni avrebbero dovuto avere uno scatto d’orgoglio e finirla con i respingimenti, la Bossi Fini, o – dall’altra parte – con approcci buonisti ma poco efficaci.

Negli ultimi tre mesi sono sbarcati in Sicilia oltre 3mila migranti, soprattutto siriani ed egiziani. La novità è che mentre prima sbarcavano tutti a Lampedusa, adesso gli approdi principali sono le coste catanesi, siracusane e ragusane.

Quel che preoccupa sono le previsioni fatte dagli enti che a livello internazionale sono in grado di monitorare la situazione anche nei Paesi d’origine. E oggi le previsioni sono che entro l’anno arriveranno in Sicilia 10 mila migranti, la maggior parte siriani.

Siamo, probabilmente alla vigilia, di una reale emergenza, che rischia di diventare persino più grande di quella che fu scatenata dalla primavera araba.

Siamo pronti ad affrontare questa marea di persone? che fuggiranno, armati di disperazione, dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla fame? A occhio e croce direi di no.

L’Emergenza Nord Africa sembra essere servita a poco. Il Governo deve dire subito e con fermezza due cose chiare: saranno rispettati i diritti dei migranti, quindi non ci saranno respingimenti in mare, e non ci dovrà essere un’altra Lampedusa. La risposta all’emergenza non dovrà pesare sulle spalle dei cittadini. La responsabilità dell’accoglienza non può essere cinicamente delegata al posto in cui i migranti giungono. Il fatto che arrivino a Lampedusa, piuttosto che a Pachino non significa che debbano restare lì. Il Paese, nel suo complesso, deve prendersi carico dell’accoglienza.

Dobbiamo da subito porre il problema in sede europea, l’immigrazione è una questione continentale, non solo italiana, a cui dobbiamo dare una risposta europea. L’Italia è una frontiera d’Europa e l’Europa non ci deve lasciare da soli.

L’Emergenza Nord Africa ci ha consegnato novità importanti, che potrebbero rappresentare delle buone pratiche da esportare e esperienze da rendere stabili e rafforzare nel nostro Paese. Fra queste l’affermarsi di nuovi enti gestori diffusi sui territori e la sperimentazione di nuove modalità di fare accoglienza. Un patrimonio che non va disperso e che va valorizzato.

Chi ha lavorato all’emergenza sa che si può costruire un sistema meno costoso ma per questo non meno efficiente. Sia sotto il profilo dell’accoglienza, dando priorità all’inserimento socio lavorativo, sia sotto il profilo del rispetto dei diritti dei migranti.

Invece, in questi mesi, si è provveduto ad un progressivo smantellamento del sistema Emergenza Nord Africa. Alla luce dalle previsioni che ci arrivano sarebbe forse più opportuno soprassedere su questa decisione.

Mi riferisco soprattutto alla chiusura delle strutture di media dimensione, intorno a i 50 ospiti, che si sono rilevate più efficaci e più efficienti delle mega strutture, come quella del Cara di Mineo. Quando si presenta l’emergenza di turno i migranti vengono relegati in edifici inadeguati, come scuole o palestre, mentre ci sono tante strutture pronte, utilizzabili, con servizi e attrezzature, con personale qualificato che potrebbero rispondere meglio all’emergenza. Rottamare queste esperienze rappresenterebbe un enorme spreco, non solo delle risorse che ci sono volute per realizzarle, ma soprattutto del grande patrimonio di esperienza e conoscenze che hanno accumulato durante l’Emergenza Nord Africa.

L’esperienza dell’ENA non va dimentica, rappresenta un vero patrimonio. Anche per questo ritengo prioritario la creazione di una nuova dimensione collegiale e partecipata della gestione dell’accoglienza ed un nuovo protagonismo affidato alle regioni.

Permettetemi, infine, di parlare della Bossi-Fini. Persino il nome ci dovrebbe far capire quanto sia vetusta la risposta che il nostro Paese pensava di dare al problema dell’accoglienza. Adesso tutti, persino il capo del Governo, che l’ha varata, firmano il referendum per abrogarla.

Il Governo ha inserito fra le proprie priorità quella di affrontare significativamente il drammatico sovraffollamento carcerario. Abbiamo dato una prima risposta a questo problema con il decreto sull’esecuzione della pena, che ha già dato i primi risultati positivi e, in prospettiva, potrebbe incidere in maniera significativa.

Per andare avanti, come ci viene chiesto dall’Europa, bisogna cambiare, o meglio abrogare, la Bossi-Fini sull’immigrazione e giungere ad un quadro normativo per i rifugiati e richiedenti asilo degno di un paese civile e democratico

 

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