La geografica politica italiana ci ha sempre consegnato territori più inclini ad anticipare i grandi cambiamenti nella scena politica italiana, soprattutto in situazioni di forte crisi. E’ accaduto nel 92-93 di fronte alle ceneri della Prima Repubblica, Milano, come Catania, Palermo come Roma. Succede oggi nel grande ribaltone del governo siciliano targato Raffaele Lombardo, in quella che fu fortezza del PDL e dei cuffariani ex UDC nel neonato PID, e che oggi vede al governo della regione le forze che si candidano come protagoniste del post berlusconismo, dall’MPA, all’ API, dal FLI, al PD. Laboratorio politico per alcuni, mercimonio tattico e ribaltamento della volontà popolare secondo altri.
Dove condurrà quest’ennesimo esperimento siciliano non è ancora dato da sapere, i risultati in termini di azione amministrativa li vedremo da qui a breve.
I laboratori si sa non sono tutti uguali, e paragonare l’attuale a quelli avuti ad inizio anni novanta è allo stato dei fatti impossibile. E’ un dato storico però che in momenti come quelli attuali, lì dove un sistema è pronto a subire crisi irreversibili la Sicilia ha trovato cambiamenti decisivi, e ha saputo, forse meglio che in altre parti d’Italia instaurare sull’onda dell’entusiasmo popolare il proprio ribaltamento di sistema. Successe nella stagione dei sindaci di Catania e Palermo. Enzo Bianco e Leoluca Orlando. Nel 93 si verificò ciò che sembrava impossibile in una città tendenzialmente destrorsa, conservatrice come Catania, al ballottaggio arrivarono due soggetti politici impensabili fino a qualche mese prima, il retino Claudio Fava, e uno dei fondatori dell’Alleanza dei Progressisti, Enzo Bianco.
Ci si chiedeva come facessero a stare insieme quei partiti che poi formarono qualche tempo dopo in maniera stabile il centrosinistra del nostro paese, oggi ci si chiede se il laboratorio siciliano targato Lombardo potrà essere preludio di nuove alleanze ed equilibri politici a livello nazionale. Differenze fra le due situazioni ve ne sono tante, prima fra tutte la non compattezza nel PD della scelta di dar vita a questo esperimento, i dubbi della base camminano parallelamente a quelli di alcuni dirigenti di spicco, e il fatto che quest’esperimento nasca in una fase d’agonia e non in quella di una già avviata totale destrutturazione del sistema politico nazionale è sicuramente una variante non indifferente. La storia ci consegna dunque una Sicilia capace di innovare e di innovarsi nella facciata esteriore ma che in passato ha saputo non dare seguito a quanto di buono era stato costruito a livello sostanziale. La stagione dei sindaci, impossibile negarlo, ha fornito una ventata di efficienza amministrativa a tanti comuni, piccoli e grandi, non amministrati per troppi anni. Il contesto venutosi a creare è stato adiuvato da rivoluzioni legislative non indifferenti. I sindaci eletti in quei periodi furono infatti i primi eletti direttamente dal popolo e dunque non succubi degli equilibri consiliari che per alcuni lustri avevano reso impossibile un’amministrazione costante dei comuni, alcuni di essi avevano anche un consiglio non allineato alle proprie posizioni, ma nonostante ciò si riuscì a portare avanti l’azione promessa nel momento elettorale. In un contesto di subalternità della forza consiliare e di ritrovato vigore dell’azione amministrativa della giunta, accompagnata da un coinvolgimento diretto di alcuni dei migliori settori della società, il laboratorio dei comuni siciliani otteneva risultati non indifferenti. Eppure quella stagione giunse al termine, per l’eccessivo personalismo che l’aveva contraddistinta, per l’assenza di adeguato ricambio e soprattutto per la forza delle opposizioni del tempo di riorganizzarsi e riportare al centro dell’attenzione i singoli bisogni di qualcuno piuttosto che la centralità dell’attività amministrativa generale.
Con la conclusione prematura di quella stagione e con il fallimento, elettorale, di una nuova riproposizione a metà degli anni 2000 il laboratorio della Sicilia dei Sindaci ha perso l’occasione di dare continuità a un modello di amministrazione che dalla crisi dei partiti della prima repubblica aveva elaborato una vitalità amministrativa senza precedenti. Oggi la Sicilia è nuovamente ad un bivio come allora, con un contesto sociale parzialmente mutato, ed un tentativo di ricoinvolgere i settori migliori della società attraverso l’attribuzione degli assessorati a soggetti tecnici e terzi piuttosto che ai portatori di una storia politica personale.
Il laboratorio “Sicilia” è chiamato entro la prossima primavera a darsi un’identità d’azione percebile dai cittadini, a dare una risposta agli scettici ed ai suoi sostenitori, da questa risposta dipende il futuro assetto politico della nostra regione, e probabilmente come fu negli anni 90 anche quello nazionale. Il fallimento rappresenterebbe l’ennesimo slogan rimasto semplicemente tale. I laboratori si sa, sono affascinanti, ma adesso la Sicilia ha bisogno di elaborare un proprio modello stabile, che metta al proprio centro quelle politiche e quegli interventi che da troppi anni urgono senza mai arrivare. Si elabori un codice etico in entrambi gli schieramenti, si prenda da lezione il perché certe esperienze sono finite ed altre peggiori sono nate.
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