SUD – UN’IMPRESA GRANDE

Ridare valore alla città di Catania dopo dieci anni di immobilismo. Ridarle valore per farla diventare il simbolo di un Mezzogiorno che, con i suoi giovani e le sue donne, deve tornare ad essere tema centrale del Paese in vista di uno sviluppo possibile. E rimettere al centro Catania vuol dire anche mettere in campo idee di crescita e sostegno alle giovani generazioni, come “Valore Catania”, una delle innovazioni possibili che ho voluto lanciare sabato mattina in occasione dell’incontro “SUD – Un’impresa grande”.

Nel Mezzogiorno abbiamo bisogno di autopromuoverci e diventare protagonisti, proprio per questo abbiamo avuto un’idea semplice ma efficace che proveremo a realizzare: Un fondo, uno strumento finanziario cofinanziato da Enti locali, banche, consorzi fidi per raccogliere risorse da destinare alle nuove imprese di giovani catanesi che decidano di investire in innovazioni e progetti di valenza sociale. Valore Catania” è soltanto una delle idee messe in campo questa mattina, durante l’iniziativa svoltasi in un’affollatissima sala del Palazzo Platamone e organizzata dal Dipartimento Economia e Lavoro del partito, alla presenza del responsabile economico nazionale del Pd Stefano Fassina. Una mattinata in cui si è discusso di precarietà e delle difficoltà del mondo del lavoro, a partire proprio dal Mezzogiorno e da una città come Catania, che è stata presa a simbolo di un Sud sempre più spopolato e abbandonato da giovani costretti a cercare fortuna altrove. E forse anche per questo Catania è stata messa al centro delle attenzioni del Partito Democratico, come ha sottolineato stamane lo stesso Fassina annunciando che quest’anno, a fine settembre, si terrà proprio a Catania la Festa nazionale del Lavoro del Partito Democratico, uno degli appuntamenti più importanti per il Pd al quale non mancherà lo stesso Bersani.

Durante l’incontro svoltosi stamane, moderato dalla responsabile Lavoro del Pd etneo Tania Spitaleri, insiema a Stefano Fassina abbiamo approfondito i temi della crescita e dello sviluppo, declinati in chiave locale e nazionale.

Bisogna smetterla di parlare di bamboccioni e di ragazzi che non vogliono allontanarsi dalla famiglia ma occorre parlare piuttosto del rischio di tsunami demografico che si rischia nel Mezzogiorno, con l’abbandono di risorse intellettuali e manuali, di giovani che sono costretti ad andare altrove. Al governo Monti chiediamo di affrontare velocemente questo tema, ma noi vogliamo anche provare a fare qualcosa qui sul nostro territorio, fare la nostra parte per ridare appunto un valore a Catania. E possiamo farlo a partire da tre grandi temi. Rivedere innanzitutto il nostro rapporto con il mare dotando Catania di grandi infrastrutture logistiche e potenziando quelle esistenti, il Porto, l’Aeroporto e l’Interporto oltre alla Zona Industriale. Il secondo è costruire un nuovo rapporto tra cultura, ricerca, Università ed economia per tornare ad essere una città della conoscenza e dell’innovazione e proprio per questo lanceremo l’idea del fondo per lo start-up di imprese giovani chiamato “Valore Catania”.

Da ultimo dobbiamo essere una città più solidale e sostenibile, che riesca a distinguersi in tutto il Paese per le politiche di mobilità sostenibile, di attenzione ai bambini, ai disabili e agli anziani, una città che investe sull’interazione tra aree, quartieri e culture e non specula sulla povertà e sull’arretratezza.

Progetti ambiziosi, su cui si è confrontato anche Stefano Fassina: “La nostra ricetta, in una parola, è lo sviluppo per combattere la precarietà del lavoro. Ma per realizzarlo occorrono riforme per tutto il Paese, ma riforme che diano maggiori benefici proprio al Mezzogiorno. Un grosso pezzo dell’identità del nostro partito ha al centro proprio lo sviluppo del Mezzogiorno, perché vogliamo rimettere al centro della discussione i giovani e le donne del Sud che rappresentano un potenziale enorme, per tutto il Paese”. E i passi da compiere, secondo il giovane economista del Pd, non sono certo quelli che vanno nella direzione dell’abolizione dell’articolo 18 – “che con lo sviluppo c’entra ben poco, anzi è una pericolosa corsa verso l’abbassamento dei diritti che potrebbe non avere limiti” ha detto – ma piuttosto “mettere ordine nella giungla dei contratti di lavoro perché ne basterebbero cinque o sei al massimo, far costare il lavoro atipico più del lavoro stabile, stabilire una retribuzione oraria minima, rivedere gli ammortizzatori sociali dando sostegno a tutti coloro che perdono il lavoro, studiare politiche attive del lavoro e incentivare il lavoro delle donne, troppo spesso costrette ad abbandonare il posto al primo figlio”.

Idee serie e concrete su cui ci si è confrontati durante la mattinata, aperta anche al contributo di rappresentanti delle parti sociali, giovani lavoratori, imprenditori coraggiosi, sindaci alle prese con le difficoltà del momento, rappresentanti di categorie che hanno fatto molto parlare di sé come quella degli autotrasportatori.

Oltre a me e Stefano Fassina hanno partecipato all’incontro anche il segretario provinciale del Pd Luca Spataro (che ha condiviso lo spirito dell’iniziativa, “per mettere in campo una nuova generazione e una nuova proposta politica”), Niccolò Notarbartolo (esperto in Economia del territorio e componente dell’esecutivo del partito), Giuseppe Glorioso, il sindaco di Biancavilla recentemente vittima di pesanti minacce. A portare le proprie esperienze e avanzare richieste concrete, c’erano anche Giancarlo Spinella, presidente Cna-Fita Sicilia, categoria degli autotrasportatori che nell’ultimo periodo si è distinta per essersi opposta alle logiche di “Forza d’urto” e delle proteste di piazza, Salvo La Rosa (direttore istituto di credito), Orazio Micalizzi del Consorzio Connecting People e Andrea Valenziani, trentenne imprenditore agricolo che ha deciso, dopo aver studiato fuori, di tornare ad occuparsi dell’azienda di famiglia, rilanciandola con innovazioni e nel pieno rispetto della legalità. A portare l’importante contributo di Cgil, Cisl e Uil anche il segretario provinciale della Cgil Catania Angelo Villari in rappresentanza delle tre sigle sindacali. Presenti tra il pubblico anche il deputato nazionale Giovanni Burtone, i parlamentari regionali Nino Di Guardo e Giovanni Barbagallo, il segretario cittadino del Pd Saro Condorelli, sindaci ed esponenti del partito. A portare i suoi saluti, seppur a distanza, anche la parlamentare regionale Concetta Raia, a Napoli in occasione di un’iniziativa del Pd sul Mezzogiorno e le donne.

dal comunicato stampa del 18 febbraio 2012

Per chi volesse approfondire, riporto di seguito un estratto dei dati SVIMEZ sulla situazione  del lavoro in Italia, e particolarmente nel Mezzogiorno.

ESTRATTO DAL RAPPORTO SVIMEZ 2011

Nel Sud pur essendo presenti meno del 30% degli occupati italiani si concentra il 55% delle perdite di lavoro determinate dalla crisi. Il dato più allarmante è quello dei giovani. Nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione delle persone tra i 15 e i 34 anni è sceso nel 2010 ad appena il 31,7% (il dato medio del 2009 era del 33,3%; per le donne nel 2010 non raggiunge che il 23,3% contro il 39,9%), segnando un divario di 25 punti con il Nord del Paese (56,5%). Il Rapporto dimostra con la chiarezza e la drammaticità dei numeri come nell’ultimo biennio si siano chiuse le porte di accesso al mercato del lavoro per le nuove generazioni sia al Sud che al Nord: tra le classi giovanili (15-34 anni) si concentra tutto il crollo occupazionale (-14,7% al Sud e -11% al Nord) mentre per le classi da 35 anni e oltre gli occupati rimangono sostanzialmente stabili o crescono.

 La questione giovanile al Sud e la prospettiva dello “tsunami” demografico

Negli ultimi anni il Sud è entrato in una fase di crisi demografica che si affianca e si intreccia negativamente con quella economica. La maggiore denatalità, la minore incidenza delle emigrazioni dall’estero, gli spostamenti delle componenti più dinamiche e qualificate verso il Nord, sono sempre più legate ai limiti dello sviluppo e producono conseguenze negative sulla crescita della popolazione.

Le previsioni più recenti ci dicono che nei prossimi venti anni il Mezzogiorno perderà quasi un giovane su quattro, nel Centro-Nord oltre un giovane su cinque sarà straniero. Se estendiamo ancora l’orizzonte, in valori assoluti, gli attuali 7 milioni di under 30 complessivi delle regioni meridionali si ridurranno sotto i 5 milioni prima della metà del secolo, mentre nel Centro-Nord tale fascia d’età si manterrà sopra gli 11 milioni aumentando di qualche centinaio di migliaia in termini assoluti e diminuendo leggermente in termini relativi. Oltre alla bassa natalità contribuiscono, evidentemente, ad accentuare lo svantaggio demografico del Mezzogiorno anche i consistenti flussi verso Nord per motivi di studio e di lavoro. Ad andarsene sono soprattutto i giovani più dinamici e qualificati in cerca di migliori opportunità di formazione e professionali. Un fenomeno allo stesso tempo causa e conseguenza dell’impoverimento economico e culturale di tale area del Paese. Chi rimane nel Mezzogiorno si trova, peraltro, sempre più in difficoltà a conquistare una propria autonomia. Come rilevato da varie indagini, negli ultimi anni il peso crescente delle difficoltà oggettive di affermazione professionale (disoccupazione, lavoro precario e reddito insufficiente) si è fatto sentire con particolare intensità sulla possibilità di uscita dal nucleo familiare dei giovani del Mezzogiorno. I più aggiornati dati Istat evidenziano come, nella fascia d’età 25-34, la percentuale di persone che vivono con i genitori sia inferiore al 40% in quasi tutte le regioni del Nord e superiore al 50% in quasi tutte quelle del Sud, con un incremento di oltre 10 punti percentuali rispetto all’inizio degli anni ‘90.

Ma ancor più preoccupante è un ulteriore sorpasso inedito tra Sud e Nord: quello dell’invecchiamento demografico. Per la spirale negativa delle dinamiche demografiche ed economiche che lo stanno caratterizzando, il Mezzogiorno è destinato a diventare una delle aree con il peggior rapporto tra anziani inattivi e popolazione occupata. La quota di ultra settantacinquenni sulla popolazione complessiva passerà al Sud dall’attuale 8,3% al 18,4% nel 2050, superando il Centro-Nord dove raggiungerà il 16,5%.

Il risultato di questi cambiamenti rischia quindi di essere un vero e proprio “tsunami” demografico: da un’area giovane e ricca di menti e di braccia il Mezzogiorno si trasformerà nel corso del prossimo quarantennio in un’area spopolata, anziana, ed economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese.

Ad accentuare gli aspetti problematici è anche la persistente emigrazione dei giovani che oltre a contribuire a rendere maggiore il peso relativo degli anziani sulla popolazione lo rende anche più problematico. Si riduce infatti per molti anziani, soprattutto quando perdono l’autosufficienza, il possibile sostegno del welfare informale basato sulla solidarietà familiare intergenerazionale. Tra le implicazioni economiche rilevanti dell’invecchiamento vi sono anche le ripercussioni sull’evoluzione dei consumi e dei risparmi, con conseguenti ricadute sull’attività produttiva e sull’accumulazione di capitale e quindi, infine, sulla crescita economica.


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