Ho letto con attenzione la lettera di Enrica Torrisi, pubblicata due giorni fa su La Sicilia, e l’altrettanto amara replica di una mamma che propone il biglietto di sola andata da questa terra senza speranze.
Io sento il dovere di dare qualche parola a Enrica e agli altri lettori de La Sicilia. Parole che possano suscitare anche una sola piccola scintilla di speranza, di speranza collettiva che possiamo costruire solo coralmente. Senza lasciarci vincere dalla stanchezza, dalla rassegnazione, ma provando a scommetterci per costruire una città nuova, di cui essere orgogliosi, in cui vorremmo che vivessero pure i nostri figli. Una città da cui non si è costretti a fuggire con un biglietto di sola andata.
E invece oggi da Catania si fugge, purtroppo, perché è una città ripiegata su se stessa, divorata da pochi e rapaci interessi economici e speculativi, attraversata nel profondo da fenomeni mafiosi. Non solo nell’economia, ma anche culturalmente: mi riferisco ai soprusi, alla logica del più forte, del più raccomandato.
Per questo Catania è oggi incapace di guardare al futuro, spaventata dalle sfide che la attendono, frustrata nelle potenzialità e nelle aspirazioni delle sue nuove generazioni.
Ma Catania è una città che ha potenzialità uniche ed energie eccezionali ed è per questo che si può, anzi si deve voltare pagina. Voglio rivolgermi a chi ancora ci crede, come la giovane Enrica, a chi sembra aver perso ogni speranza, come sinceramente scrive la signora Alaimo, come ai tanti ragazzi e alle tante ragazze con cui quotidianamente mi confronto. E che mi hanno insegnato a rafforzare un’idea che ho sempre sentito mia: Catania, i catanesi, devono scrivere una storia nuova, devono affidare questa storia a politici e a rappresentanti delle istituzioni che siano onesti, disinteressati al proprio tornaconto e, al contrario, votati alle “nostre” cose, a quelle di tutti.
Quali? Quelle che ci hanno reso importanti, bravi agli occhi del resto del mondo, intelligenti. Penso alla nostra sterminata vivacità culturale, penso alla nostra Università e alla capacità che aveva di sfornare talenti, idee, di valorizzare le eccellenze e indirizzarle sulla strada giusta di imprese innovative, di poli tecnologici. Penso ad una città che potrebbe vivere e far vivere di turismo, se solo si tornasse a ragionare con criteri di BELLEZZA, oltre che con l’intelligenza di chi sa che abbiamo un patrimonio culturale straordinario che continuiamo a sciupare ogni giorno. Lo vedono i nostri occhi ma lo vedono anche quelli dei turisti.
Ma credo che il paradigma di questo cambiamento, che mi piacerebbe fosse davvero una rivoluzione, culturale e reale allo stesso tempo, fossero le sfide che la nostra città non ha ancora affrontato. Mi riferisco al suo rapporto con il MARE. Siamo una città di mare che ignora le grandi potenzialità che potrebbe ricavare da un modo diverso d’intendere il mare, appunto, come molte altre cose del resto. Mare vuol dire Waterfront (fronte-mare), che andrebbe ridisegnato, reso più bello e funzionale proprio per restituire il mare alla città; mare vuol dire turismo, sapendo sfruttare le opportunità di un Porto che ignora la sua vocazione turistica, ancora oggi chiuso alla città e precluso persino ai catanesi; mare, Waterfront, è la possibilità che avremmo – se solo volessimo – di sanare la frattura più brutta e pericolosa che la storia urbana ci ha lasciato in eredità, la frattura con la Catania Sud, con quartieri come Librino e San Giorgio, con quella parte della città che deve essere portata dentro un destino diverso, un destino di sviluppo, benessere, legalità, crescita morale e materiale.
Mare, Waterfront, secondo me deve essere anche una filosofia e un nuovo modo di intendere la città: non più ripiegata verso il suo interno, non più centro di un entroterra isolano, ma capitale mediterranea in una rete di relazioni euro-mediterranee, di interazioni con il Sud e con l’Est del mondo.
Questo dibattito, alimentato da voci sincere, spero possa servire ad animare quella parte della città che continua a pensare, nonostante in tanti sostengono sia inutile. E la speranza del cambiamento passa dalla nuova generazione, che ha le carte per mettersi alla prova. Io voglio ripartire da loro e assieme a loro, perché è a loro che va lanciata la sfida per costruire una nuova Catania, a loro va infuso coraggio. A loro voglio dare responsabilità e fiducia. A chi ci crede, a chi pensa, a quella città che sa essere bella e solidale e forte nonostante le difficoltà. Queste sono le mie priorità e alcune delle mie proposte, ma mi piacerebbe tanto che cominciassimo a discuterne.
Giuseppe Berretta
La lettera di Enrica colpisce veramente e fa riflettere sul dramma della disoccupazione, ma c’è un’altra e ben più ampia disoccupazione quella vissuta in silenzio da tanti papà che hanno perso il loro posto di lavoro, raccontata dai loro occhi lucidi dalla rabbia di non poter comprare ai propri figli quello che la scuola dovrebbe invece fornire; carta igienica, rotoloni, quaderni e così via; quest’annno mi figlia ha iniziato la prima elementare la potevo scrivere in una scuola del centro dove probabilmente avrebbe trovato compagnetti un pò più benestanti, ma abbiamo deciso di scriverla ad una scuola di periferia, perchè da piccola possa abituarsi a delle situazioni più reali possibili, perchè questa purtroppo oggi è la realtà e potergli fare apprezzare quello che fortunatamente gli possiamo ancora dare, penso che ognuno di noi ha l’obbligo morale, di dare il suo piccolo contributo per migliorare questa drammatica situazione. Speriamo di farcela!