Sabato scorso sono stato ospite a Guspini, in Sardegna, per partecipare ad una tavola rotonda sulla violenza contro le donne. Quando posso non manco mai alle iniziative che pongono l’attenzione sull’odiosa violenza di genere. Penso che questo tipo di incontri siano molto utili a tenere alta l’attenzione su un tema spesso sottovalutato. Il Governo in carica ha affrontato con urgenza, fin dall’inizio del proprio mandato, il problema delle violenze contro le donne. Abbiamo voluto che nel nostro Paese intorno a questo tema non calasse il silenzio. Per combattere la violenza di genere abbiamo varato un decreto perché abbiamo ritenuto necessario intervenire prontamente. Oggi l’Italia ha una legge più efficace. Prevede pene più aspre contro mariti, conviventi, fidanzati, padri e figli violenti nei confronti di mogli, fidanzate, madri e figli. Un provvedimento molto atteso e che deve servire anche ad accelerare un cambiamento culturale vero e proprio. Perché è la cultura e l’atteggiamento nei confronti di questo crimine che devono cambiare. Bisogna costruire attorno a noi una sensibilità ed una consapevolezza, senza le quali la legge resterebbe soltanto una legge.
Il decreto contro la violenza di genere è stato un passo importante. Non si poteva continuare ad ignorare l’inferno in cui vivono le donne che subiscono maltrattamenti e abusi, accettarlo significava diventarne parte, fino al punto di non vederlo più. Invece si è deciso di combatterlo proteggendo le vittime e punendo i colpevoli. La violenza, purtroppo, non la si può eliminare del tutto. La violenza la si può e la si deve contenere e prevenire. Ma per farlo, dobbiamo sviluppare lo spirito critico attraverso l’educazione. Per far capire a tutti e tutte, fin da piccoli, che il valore della persona è intrinseco e non strumentale. Non si può combattere la violenza se non si educano le ragazze alla consapevolezza del proprio valore e della propria libertà. Esattamente come non si può combattere la violenza se non si educano i ragazzi alla consapevolezza del valore e della libertà altrui.
Anche gli episodi di questi giorni, avvenuti tra l’altro in quello che da tutti dovrebbe essere riconosciuto e sentito come il tempio della politica e quindi del dialogo e del confronto, non rappresentano un buon insegnamento. Il dialogo ed il confronto sono innanzitutto il riconoscimento di eguale dignità dell’interlocutore. L’insulto che rende la parola una clava, un oggetto contundente, con cui esercitare violenza, comportamento già grave di per sé, non dovrebbe trovare cittadinanza nelle sedi istituzionali e nella politica. I riferimenti forti alla sessualità, rendono il tutto ancora più odioso.
Questa legislatura era iniziata in una maniera differente: fra i primi atti votati all’unanimità dalla Camera vi sono la ratifica della Convenzione di Istanbul ed una mozione contro il femminicidio. Il Parlamento ha manifestato con determinazione, sotto la guida autorevole della Presidente Boldrini, la volontà di rispondere in maniera urgente ed efficace al fenomeno della violenza contro le donne. Abbiamo varato un decreto senza rinunciare al dialogo e all’ascolto, guardando con attenzione al vasto movimento delle donne che ha rivendicato diritti di autonomia e libertà.
Con questa attenzione e con questa consapevolezza di avere di fronte a noi temi cruciali, abbiamo lavorato con le Commissioni parlamentari, ascoltando associazioni, centri antiviolenza, esperti e operatori, che ci hanno rappresentato la forza delle donne e la fragilità di risposta delle istituzioni. E’ grazie a questo lavoro che ora l’Italia ha una legge che rende più forte ed efficace la lotta contro la violenza sulle donne. È un significativo passo in avanti che va nella direzione che ci ha indicato la Convenzione di Istanbul.
Vorrei citare alcune di queste novità che ritengo utili e positive: il riconoscimento della violenza assistita e della violenza subita dai minori, perché sappiamo che un minore che assiste a violenza ha molte possibilità di diventare lui stesso un uomo violento.
La previsione della comunicazione alla persona offesa attraverso la messa in rete di presidi sanitari e di servizi sociali, perché lo spazio che va dalla denuncia all’inizio del processo è spesso uno spazio difficile, di solitudine per la persona offesa.
La previsione del permesso di soggiorno per le donne immigrate che subiscono violenza.
Io credo che anche il compromesso che abbiamo trovato, nel dibattito serio che abbiamo svolto, tra revocabilità e irrevocabilità della querela sia un compromesso positivo: non revocabilità in sede processuale e un’irrevocabilità per i casi più gravi. Abbiamo valutato e abbiamo pesato il principio della tutela della vittima, il principio dei diritti umani, il principio dell’autonomia e il principio della responsabilità pubblica. Allora io credo che questa soluzione metta ancora di più tutti noi di fronte alla necessità di rafforzare i presidi di aiuto, perché le donne denunciano se c’è una rete che prende in carico la denuncia, se si attiva un percorso di sostegno.
È stato detto che il cuore di tutto il testo è l’articolo 5. Per la prima volta – e io questo voglio sottolinearlo – in modo chiaro e in modo netto, noi scriviamo dentro una legge, nero su bianco, la previsione di un vero Piano nazionale antiviolenza. Questo è un fatto importante, un fatto positivo, un piano nazionale antiviolenza che deve essere costruito con i centri, con le associazioni, che deve prevedere azioni di prevenzione e di formazione degli operatori nelle scuole con i ragazzi.
Per la prima volta in un testo di legge parliamo di uomini violenti e della necessità di progetti di recupero che impediscano la recidiva, provando a spostare per una volta l’attenzione dall’identità della donna vittima al tema dell’identità maschile e dei moventi che spingono un uomo ad aggredire.
E soprattutto con l’articolo 5-bis , anche questo per la prima volta dentro un testo di legge, viene riconosciuto il ruolo dei territori, dei centri antiviolenza e delle case rifugio, che non sono solo luoghi di accoglienza o posti letto – che pure sono importantissimi e fondamentali – ma luoghi che, attraverso una metodologia dell’accoglienza, fanno prevenzione, fanno cultura, sono stati e sono spesso, in splendida e terribile solitudine, avamposti territoriali e veri laboratori sociali.
Proprio in questi giorni sta giungendo a conclusione il lavoro dei sette gruppi tecnici di lavoro, in cui siedono praticamente tutti i ministeri, per varare il Piano nazionale antiviolenza che sarà quindi uno strumento globale di prevenzione e contrasto alla violenza di genere che si avvarrà delle prime risorse che abbiamo stanziato (10 milioni in quattro anni).
La cosa importante è che mentre si completava l’iter il Piano è già avviato, in corso di sperimentazione. Per andare a regime ci vorrà del tempo perché le aree di intervento sono diverse: prevenzione della violenza in senso stretto, istruzione e informazione (che coinvolge la rete della scuola dalla materna all’università), comunicazione, organizzazione dell’ascolto e dell’accoglienza delle donne, valutazione del rischio, formazione degli operatori, il codice rosa cioè la capacità di creare una filiera di intervento dal pronto soccorso ai servizi sociali, reinserimento sociale ed economico delle donne, recupero dell’uomo maltrattante e il sistema informativo integrato ovvero i dati.
E poi i centri riceveranno i fondi dalle Regioni e non più dal Governo centrale che li erogava sulla base di bandi e progetti, un finanziamento che aveva un carattere di discrezionalità ed una certa aleatorietà. D’ora in poi il finanziamento sarà permanente: 10 milioni all’anno che non rientrano nei soldi stanziati per il Piano, sono in più.
Infine, riusciremo a far parlare tra loro le diverse banche dati: carabinieri, polizia, procure. Rilevare i dati sulla violenza non è facile, perché è un dato nascosto: le donne tendono a non parlarne. Su dieci donne uccise nel nostro Paese, sette avevano chiesto aiuto. Da quando è entrato in vigore il decreto sul femminicidio sono decine le donne che sono state salvate e decine i potenziali carnefici che sono andati in carcere.
La violenza sulle donne è un crimine che si riuscirà a sconfiggere solo con un cambiamento culturale. Per questo è fondamentale un piano straordinario per la prevenzione a cominciare dalle aule scolastiche, per proseguire nella formazione di tutti gli operatori del settore, dai centri di assistenza al personale delle forze di polizia. Un’attività che deve riguardare tutto il mondo dell’informazione: è fondamentale infatti trasmettere messaggi basati sui principi dell’educazione al rispetto.
Noi abbiamo il dovere di provare a salvare altre vite, come in questi mesi ha fatto l’entrata in vigore di questo decreto, e lo facciamo se capiamo la natura di quelle morti e diamo risposte adeguate e conseguenti. Noi davvero possiamo indicare un’altra idea di un cambiamento possibile nella convivenza civile, riconoscendo e accogliendo le differenze, insegnando la dignità e il rispetto.
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