su www.unita.it Concita De Gregorio e la mozione “Libia” del PDL
Uno degli infiniti modi di rendersi ridicoli è quello di gonfiare il petto e dire solennemente plateali sciocchezze, cretinate così vistose che non meriterebbero neppure di essere commentate. Quando vengono discusse, però, dai parlamentari eletti a rappresentare i cittadini e occupano la scena – e il discorso politico pubblico – con l’aria di essere un reale e serio oggetto di dibattito le sciocchezze devono essere ancora una volta faticosamente e penosamente additate come tali, fandonie, e come ridicoli devono essere trattati coloro che si impegnano a spacciarle di fronte agli italiani come determinazioni solenni e dotate di senso. Solo i bambini che giocano coi soldatini fanno finire la guerra quando vogliono, o quando la mamma chiama perché si è fatta ora di cena. Non occorre essere istruiti, poliglotti, esperti in strategie militari né lettori assidui di romanzi storici per sapere che delle guerre si conosce in anticipo solo la data d’inizio, mai la fine. Lo sanno anche le vedove analfabete dell’aspromontano, lo dicono i proverbi, le canzoni, la saggezza dialettale di tutti i paesi e tutti i popoli.
Che la Lega e il Pdl, segnatamente Bossi e Berlusconi, abbiano trascorso una parte del loro tempo a riscrivere e “migliorare” una mozione in cui si stabilisce che “il Governo si impegna a fissare un termine temporale certo, da comunicare al Parlamento, entro cui concludere le azioni” militari è una scena degna di Totò e Peppino.
Non suscita nessuna sorpresa, purtroppo, che i loro sottoposti l’abbiano votata senza neppure sforzarsi di trattenere le risa o la vergogna, ammesso che ne conservino la facoltà. Va così.
Non ci voleva Rasmussen, non serve l’Unione europea o la Nato per ricordarci che “è impossibile stabilire la data finale” dell’azione volta a raggiungere un obiettivo militare: dipenderà da quando quell’obiettivo sarà raggiunto. Nel caso di Bin Laden, per esempio, c’è voluto parecchio. (A questo proposito: non riesco ad esultare per la morte di nessuno e non mi piace chi lo fa. Non riesco neppure a convincermi che in certi casi sia necessario “credere sulla parola”, sia pure la parola dell’uomo più potente del mondo. Direi che la democrazia globale che si pretende di incarnare e a volte di esportare comporti la trasparenza delle proprie azioni, in questo caso una dettagliata sequenza di spiegazioni e immagini che documentino per l’opinione pubblica mondiale come si sono svolti i fatti. Che non si sia trattato di un’esecuzione, per esempio. Forse qualche valoroso uomo di governo potrebbe chiederne conto oggi a Hillary Clinton. Se fossi lì lo farei).
Tornando a noi, la bufala della “guerra a tempo” per cui ci ride dietro l’Europa ha avuto il pregio di far tornare il sereno fra il Cavaliere e il suo più nervoso alleato. Una pace posticcia come evidentemente posticcia era la guerra, schermaglie preelettorali e prove di forza e di potere. Niente che riguardi la vita né il destino concreto degli italiani, per i quali si annuncia piuttosto per giugno una nuova manovra economica da sette miliardi. Sul successo ottenuto con la mozione farlocca sulla Libia il Senatur ha commentato soddisfatto “ce l’ho sempre duro”.
Nelle stesse ore sui muri di Roma sono comparsi manifesti con le immagini dei membri di governo, intesi come uomini, con la scritta “fuori dalle palle”. Il livello della dialettica politica s’impenna, in senso inguinale.
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